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Leon Battista Alberti, da architetto colto a «uomo universale» per eccellenza del Quattrocento

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Sarebbe arduo, in poche righe, raccontare la magnificenza di un intellettuale come Leon Battista Alberti, morto il 25 Aprile del 1472 a Roma, quando una parte di quel mondo allora conosciuto stava risplendendo di luce propria, immerso com’era nel Rinascimento che tutti ammiriamo.

Approdato tardi all’architettura, accompagnato dal suo bagaglio culturale fatto di restauri, fatiche letterarie, come lo stesso Giorgio Vasari ricorda nelle “Vite”, dove lo descrisse come “bonisismo aritmetico e geometrico, e scrisse dell’architettura dieci libri in lingua latina”, Alberti si fece poi foriero di quella nuova concezione di architettura che andava formandosi: un’attività puramente intellettuale che esauriva il suo valore creativo nel progetto, senza richiedere la presenza dell’architetto nel cantiere.

A metà del ‘400 iniziava i primi lavori come architetto in un contesto come quello fiorentino divenuto coacervo di cultura e politica quando, per Giovanni Rucellai, a cui era legato da grande amicizia e affinità intellettuale, realizzava il palazzo e la loggia a partire dal 1447; in seguito mise mano alla facciata della chiesa di Santa Maria Novella e alla Cappella del Santo Sepolcro della chiesa di San Pancrazio.

Firenze, Mantova, Ferrara, Rimini e Roma divennero le principali vetrine dove l’ingegno albertiano si espresse tra signori illuminati, papi e artisti con i quali ebbe dialoghi proficui sull’arte e l’architettura. 

Sebbene “nella pittura non fece Leonbattista opere grandi nè molto belle, conciò sia che quelle che si veggono di sua mano, che sono pochissime, non hanno molta perfezzione”, secondo il Vasari, Alberti è certamente un teorico dell’arte a tutto tondo. Quando nel 1434 si trasferisce a Firenze, dove conosce sia Brunelleschi che Donatello, scrive e dedica proprio a Brunelleschi il trattato De pictura, che contiene uno dei primi studi scientifici sulla prospettiva. La pittura non è più semplice imitazione della natura, ma rappresentazione della realtà così come la vede l’occhio umano.

Quando a Rimini, per Sigismondo Malatesta, l’Alberti mise mano alla chiesa di San Francesco, divenuto poi un monumento celebrativo, il Tempio Malatestiano, si intravidero quei concetti architettonici di utilitas teorizzati nel De re aedificatoria, capolavoro che permise all’autore di intraprendere il primo grande rinnovamento di quel fondamentale autore, Vitruvio, nello spirito di un tempo nuovo. Il monumento però rimase incompiuto, furono realizzate solo la parte bassa della facciata, spartita in tre arcate, e le fiancate, creando un vero e proprio involucro marmoreo che inglobava l’edificio preesistente.

La figura di Leon Battista Alberti divenne quindi apicale nella cultura del suo tempo, incarnando perfettamente l’uomo rinascimentale, fine intellettuale al centro del mondo, in grado di portare avanti il discorso di rinascita, vista come idea di un risveglio dello spirito e delle forme dell’età classica.

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