Primo Piano

Luigi Cogodi e la lotta per la difesa dei diritti umani

Condividi

Cos’è la giustizia?

Tommaso d’Aquino ci suggerisce di pensare alla giustizia come una forma di restituzione: giustizia è restituire agli altri ciò che spetta loro.

Noi siamo spesso portati ad interpretare questo invito pensando alla restituzione dei beni, ma possiamo immaginare anche una prospettiva più schiettamente antropologica.

All’altro devo restituire ciò che gli spetta ancor prima dei beni, cioè la sua identità…

E questa è la storia di Luigi Cogodi, nato a San Basilio il 27 luglio del 1943, esperto avvocato e personalità politica di spicco nel panorama sardo tra gli anni ’70 del XX secolo e il primo decennio del XXI.

Luigi Cogodi ha abbandonato questa vita terrena nel 2015 scrivendo una pagina importante per la storia della Sardegna e per il mondo dell’emigrazione, che oggi ci viene raccontata da Alberto Sechi, funzionario regionale e, dalla metà degli anni ’80, diretto collaboratore di Luigi Cogodi in tutti i suoi incarichi istituzionali.

“Era il 1988.

In quell’anno si svolse a Roma la Conferenza Nazionale degli Italiani all’estero, e in vista di quella grande assemblea degli emigrati, l’allora Assessore regionale del Lavoro Luigi Cogodi aveva pensato di farla precedere da una consultazione della Regione con i circoli degli emigrati sardi.

Fu organizzato un viaggio per conoscere i più lontani, come quelli del Sud America, dove all’epoca operavano pochi Circoli: due erano in Brasile, a Rio de Janeiro e a San Paolo del Brasile (che essendo una città quasi interamente fondata dagli emigrati italiani, ospitava anche molti sardi), e tre circoli in Argentina, a Buenos Aires, Mar del Plata e San Miguel de Tucumán.

Gli incontri avvenivano a poca distanza dal ritorno della democrazia in Argentina. Era però in atto una grave crisi economica, con un’inflazione galoppante, tanto che, proprio in quei giorni, nel fine settimana vennero chiuse le banche e, alla riapertura, il costo del denaro (rispetto al Dollaro USA e alla Lira italiana) era aumentato addirittura del 20 per cento. Una situazione molto complicata dal punto di vista economico e sociale.

Fra gli incontri con i Circoli e le Istituzioni locali, molto importante fu la riunione presso il Circulo Sardos Unidos de Socorro Mutuo di Buenos Aires: la prima Associazione di sardi nel mondo, costituita nel 1936 ad opera di un gruppo di emigrati, tra i quali alcuni esuli antifascisti che avevano lasciato l’Italia per ragioni politiche ed evitare di essere coinvolti nella guerra ormai imminente. 

Durante l’incontro si trattarono temi fondamentali per gli emigrati: come la Regione avrebbe potuto essere loro d’aiuto e quale contributo, essi stessi, avrebbero potuto dare alla società sarda. Tra le altre azioni, si presentò la possibilità di assicurare dei viaggi per la Sardegna agli emigrati di prima generazione, ormai anziani, affinché mantenessero i contatti con la terra madre. E si prospettò anche la possibilità di offrire dei viaggi nell’Isola ai figli o ai nipoti, perché conoscessero la terra dei loro avi.

L’Assessore Cogodi amava trattenersi a parlare con gli emigrati per conoscere le loro storie e, quel giorno, si avvicinarono a lui due anziani signori, Giovanni Mastinu e Maria Manca, per chiedere informazioni sulla possibilità di rivedere la loro terra. Avevano lasciato la Sardegna negli anni ’50, ma erano poveri, non erano più tornati in Sardegna e desideravano rivederla prima di morire.

(Dalle parole di Giovanni Mastinu):

‘Noi siamo partiti in Argentina in cerca di lavoro e con la speranza di dare un futuro ai nostri figli. Oggi nostro figlio non c’è più, ce l’hanno portato via. Si chiamava Martino Mastinu. Una volta sono venuti a cercarlo. I militari però, cercando lui, hanno ucciso a fucilate il cognato, Mario Bonarino Marras. Noi pensiamo che nostro figlio sia stato ucciso, ma non ne abbiamo la certezza. Siamo rimasti soli e senza i ragazzi che portavano i soldi a casa, per noi, non è stato semplice continuare…’

In quella occasione, pronunciarono delle parole che rappresentano l’inizio di una vicenda giudiziaria e umana che segnerà per sempre il futuro professionale di Luigi Cogodi sia come amministratore regionale, spingendolo a modificare la relazione tra la Regione e gli emigrati sardi all’estero, sia come avvocato, diventando protagonista delle vicende processuali successive, difensore delle vittime di un’enorme tragedia umana.

Erano gli anni a cavallo tra il 1986 e il 1989 e il tema dei desaparecidos, non solo era praticamente sconosciuto in Sardegna, ma non era emerso con tutta la sua forza nella stessa Argentina. Nella nostra riunione, nessuno ne aveva parlato pubblicamente, anche perché chi aveva conoscenza diretta delle persone, poteva soltanto dire che un familiare era scomparso e, forse, era stato torturato prima di essere ucciso. Non si aveva conoscenza della sorte effettiva degli scomparsi, né dell’entità del fenomeno. Non se ne parlava nei luoghi di lavoro e a scuola, non se ne parlava tra la gente, nessuno aveva una conoscenza approfondita dei fatti. Trentamila persone scomparse sulle quali regnava il silenzio e la paura. Perché questa storia venisse fuori ci sono voluti anni…

La dittatura militare regnò in Argentina dal 1976 al 1983…

La dittatura militare che con il colpo di stato del 24 marzo 1976, depose la presidente Isabel Martínez, terza moglie di Juan Domingo Perón, trascinò l’Argentina in un clima di terrore e violenze, torture, esili e assassini, oltre alle sparizioni (in spagnolo desaparición) forzate, concluse con l’occultamente dei corpi delle vittime, tra cui centinaia di cittadini italiani e più di 500 sottrazione di neonati.

Il tentativo di riconquista alla Gran Bretagna delle isole Malvinas/Falkland e la conseguente distruzione della flotta navale argentina, costrinse la Giunta militare a cedere il potere. Il 30 ottobre 1983, Raúl Alfonsín vinse le prime elezioni democratiche e, una volta eletto promosse i processi contro gli artefici di quegli anni bui. Sotto la sua presidente venne istituita la CO.NA.DEP. – Comisión Nacional sobre la Desaparición de Personas, con il compito di raccogliere informazioni sulle persone scomparse e, contemporaneamente, vennero avviati decine e decine di processi, tra i quali quello per la sparizione dell’intero Consiglio di fabbrica dei cantieri navali AST.AR.SA dove lavorava Mastinu.

Ma ci fu un nuovo blocco: un nuovo tentativo di colpo di stato da parte dei militari. Stavolta i militari non riuscirono a rovesciare il governo, ma costrinsero il Presidente Alfonsin a mettere una pietra tombale sopra questa vicenda.

Vennero adottate due leggi: la legge di Punto Final e la legge di Obediencia Debida. La prima dava novanta giorni di tempo ai giudici per concludere i processi: in caso contrario sarebbero stati archiviati. I giudici riuscirono comunque a portare avanti gran parte degli gli atti. Fu allora approvata la seconda legge, che giustificava il comportamento dei militari in quanto tenuti al dovere di obbedire agli ordini imposti dall’alto.

In pratica con le leggi imposte dai militari si mise tutto a tacere e questo evitò anche che la stampa ne parlasse. Fu necessario molto più tempo perché le notizie emergessero.

“Il primo processo su quelle vicende si svolse a Roma dodici anni dopo il nostro primo viaggio in Argentina e riguardò anche Martino Mastinu, che lì era conosciuto col soprannome comune a tanti italiani: El Tano (che in realtà è un’abbreviazione di napoletano).

I primi processi iniziarono a Roma 12 anni dopo il nostro primo viaggio in Argentina e coinvolsero proprio Martino Mastinu.

Il caso di Mastinu è stato individuato quasi subito come uno di quelli sui quali era possibile fare un processo perché il suo rapimento (la sua desaparicion) era legata all’omicidio del cognato. Siamo così arrivati al 98/99. Cogodi assunse la difesa di parte civile dei familiari di Mastinu, con la delega della moglie e del figlio.

Il processo, durato diversi anni, si poté celebrare perché il Codice Penale italiano contiene una norma particolare, che non hanno altri Paesi, senza la quale non si potrebbe svolgere un processo in Italia contro i militari, cittadini di un altro Paese. Questa norma, che scatta solo in casi particolari e richiede una decisione di tipo politico, prevede, ma solo su richiesta del Ministro della giustizia, la possibilità di perseguire il cittadino italiano o lo straniero, che commettano in territorio estero un delitto politico.

Un delitto politico è un delitto che offende un interesse politico dello Stato, ovvero è un delitto politico del cittadino. La vicenda dei desaparecidos è uno dei primissimi casi in cui è stata attivata questa norma del Codice Penale emanato in periodo fascista e rimasta nell’ordinamento repubblicano: interpretata alla luce dei diritti fondamentali della persona tutelati dalla Costituzione repubblicana, ha consentito di considerare la scomparsa forzata quale delitto politico.

Le Associazioni di tutela dei Diritti Umani operanti in Italia avevano individuato sei casi sui quali impiantare un processo, perché con il ritrovamento dei corpi vi era la prova della uccisione. Anche il caso di Mastinu fu presto incluso tra questi, perché il suo rapimento (e la sua conseguente desaparición) erano legate all’omicidio del cognato Mario Bonarino, avvenuto nel corso di un primo tentativo di catturare Martino. 

Arrivammo al 1998, quando Cogodi, fin dalla fase preliminare, assunse la difesa di parte civile dei familiari di Martino, il figlio Diego e la moglie Rosa Zatorre. Il primo grado di giudizio davanti alla Corte d’Assise di Roma iniziò il 21 ottobre 1999 e si concluse con la sentenza del 7 dicembre 2000.

Il processo italiano è stato emblematico e in questo processo, non di poco conto, il ruolo dell’avvocato Cogodi: era il primo caso in cui si parlava di desaparicion di fatto nel mondo.

La sua requisitoria, basata sulle argomentazioni giuridiche e antropologiche di Antonio Pigliaru[1] dimostrò come Mastinu, già vittima di tortura in un primo precedente sequestro, balente partecipe del codice non scritto della cultura pastorale sarda, sarebbe andato incontro a s’inimigu a fronte parada, e mai sarebbe fuggito lasciando soli gli anziani genitori come i difensori degli aguzzini pretendevano fosse avvenuto: chie ismentigat babu e mama, est mortu prima ‘e naschere.

La Corte sentenziò l’equiparazione tra scomparsa forzata e omicidio, aprendo la strada al definitivo riconoscimento, da parte della Corte Penale Internazionale, della desaparición quale crimine contro l’umanità. Gli imputati vennero tutti condannati. La difesa ricorse in Appello e in Cassazione e, nel 2004 le condanne furono tutte confermate.

Dopo la conclusione del processo, si pensò di dare una continuità visibile all’attività di memoria e ricerca della verità e giustizia sulla vicenda dei desaparecidos sardi, creando a Tresnuraghes una istituzione intitolata a Martino Mastinu e Mario Bonarino Marras. Tresnuraghes non è solo il loro luogo d’origine: è un comune che ha perso un terzo della popolazione nel corso della grande emigrazione sarda degli anni ’50 e ‘60. E quelli che sono andati a cercare lavoro dall’altra parte del mondo non solo non hanno trovato fortuna, ma hanno trovato la morte.

La desaparición ha coinvolto diversi altri sardi. Ci sono notizie certe di Antonio Chisu di Orosei, Antonio Zidda di Orune, Vittorio e Anna Rita Perdighe di Samugheo. Inoltre ci sono altri desaparecidos con cognomi chiaramente sardi (tra cui Oscar Cugurra, José Esteban Cugurra e sua moglie Elisa di Chubut, Miguel Angel Siddi di Mar del Plata). Per tutti questi casi purtroppo sono scomparsi i documenti, i testimoni, e mancano le informazioni minime per avviare dei processi.”

Il Centro di documentazione per i Diritti umani Mastinu – Marras, fondato nel 2004 alla presenza del premio Nobel per la Pace Adolfo Pérez de Esquivél, incarcerato durante la dittatura Argentina, opera attualmente presso il Museo Comunale Casa Deriu di Tresnuraghes. Nel tempo ha organizzato eventi e incontri utili a diffondere ogni informazione sulla vicenda nel territorio della Sardegna, in particolare presso le scuole, con la presenza, finché questo è stato loro consentito dall’età, dei familiari e dei testimoni dei fatti, che avevano deposto nel processo, ovvero di persone che avevano comunque conosciuto quelle vicende.

Grazie a Luigi Cogodi, grazie alle associazioni per i diritti umani, grazie ai giudici che hanno avviato e portato a conclusione il processo italiano, possiamo essere ora più coscienti del nostro dovere, come cittadini, come genitori, come educatori: lottare contro tutte le discriminazioni a favore di una giustizia che non conosce confini.

 

Di Stefania Cuccu

Si ringrazia Alberto Sechi, (nato nel 1954 a Cagliari e residente a Iglesias), funzionario regionale e diretto collaboratore di Luigi Cogodi per la sua preziosa testimonianza. Alberto Sechi è l’autore del libro “Luigi Cogodi, il verde più rosso”, Janus Editore, Cagliari 2024, contenente una lunga intervista a Luigi Cogodi sulla sua vicenda personale e politica, corredata di una accurata documentazione di carattere legislativo.

Comment here