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M.Grazia Zedda: “Il fruscìo degli eucalipti”(tratto da Figli di Sardegna)

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Ci sono storie di vita in grado di trasmettere forza, coraggio e determinazione… Storie che raccontano di un’isola meravigliosa, ma allo stesso tempo povera e avara con i suoi figli, tanto da costringerli ad abbandonarla…
E questa è la storia di Maria Grazia Zedda.
La sua grave sordità è stata la spinta verso una carriera di successo come imprenditrice nel mondo delle Pari opportunità. Maria Grazia ha lavorato in programmi di inclusione a San Francisco, Philadelphia e Bologna, ma è nel Regno Unito che ha lasciato un segno, rientrando nella “Top 100 Influencers Disability”, e vincendo diversi premi come manager per la disabilità. Oggi lavora come Senior Manager per le pari opportunità ed è consulente per l’inclusione e l’accessibilità.
“Sono nata negli anni settanta e sono cresciuta a Cagliari dove, all’età di sette anni, la mia famiglia ha scoperto che io ero sorda: affetta da sordità al 90% all’orecchio destro e al 75% all’orecchio sinistro. E’ stato un evento che ha cambiato la mia vita e quella della mia famiglia, anche perché nessuno di loro se n’era accorto prima. Si sospetta che io non sia nata così, ma che la sordità sia dovuta a una malattia che colpisce frequentemente i bambini e che, nella mia famiglia, aveva colpito anche mia sorella. Mi riferisco all’ittero, ma il mio era più grave rispetto a quello che colpisce comunemente i bambini e mi portò alla sordità. Quello di mia sorella era diventato nucleare tanto da danneggiare gravemente il suo cervello, per cui era diventata cerebrolesa e purtroppo morì da bambina, all’età di 2 anni. I miei genitori, e mia madre in particolare, erano molto impegnati tra dover accudire me, mia sorella e anche mia nonna che era cieca. Una situazione molto faticosa. In quella situazione nessuno si era accorta del mio problema, un pò perché non ero completamente sorda, un pò perché senza rendermene conto io leggevo dalle labbra e inoltre, a casa mia, si chiacchierava a voce alta, e questo mi aiutava a capire molte parole. Io poi ho imparato a leggere e a scrivere all’età di quattro anni, quindi anche a scuola la maestra non si accorse di nulla. Tuttavia quando iniziò a fare i dettati, o quando camminava per l’aula mettendosi di spalle, io non sentivo nulla; c’erano momenti di vuoto che innocentemente riempivo con la fantasia pur di non consegnare il foglio bianco.”
Da quel dettato cambiò tutto. Gli ospedali, le visite audiologiche, gli accertamenti e la diagnosi: la sordità. Fino ad allora nessuno si era accorto che quella bimba, tanto sveglia e vispa, era in grado di comunicare perfettamente leggendo il labiale, ma non udiva quasi nulla. Un rossetto rosso fece la differenza in questa storia, ma non riuscì a cancellare la sofferenza provata e a prevenire i dolori del futuro.
“La maestra mi mandò via da quella classe: pretendeva che io frequentassi una scuola speciale. Un’altra insegnante mi accolse nella sua sezione e, per agevolare la lettura labiale, si metteva sempre un rossetto rosso scandendo bene le parole.
Io riuscivo a seguirla ed ero brava nei compiti assegnati. Queste attenzioni non furono presenti alla scuola media e superiore e mi trovai nuovamente in difficoltà: andavo bene in Italiano, materia che mi piaceva, mentre nelle altre materie non sentivo e non venivo aiutata. E poi allora c’erano molti tabù e la disabilità non era trattata adeguatamente.”
Gli esseri umani, per loro natura, hanno paura di ciò che è diverso. Ogni volta che il nostro cervello incontra qualcosa che non conosciamo si aziona uno stato di allerta. Oltretutto la disabilità è la diversità sono le cose che spesso ci sgomentano di più. Questo ha una ragione ben precisa. Qual è la cosa che ci fa più paura? La morte. Nessuno sa cosa succeda dopo ed è la condizione innata dell’umanità. Vicino a questa paura istintiva sta quella per la sofferenza, la malattia e la disabilità.
“Dopo la maturità sapevo che non avrei mai potuto studiare all’università, sia per i problemi economici che c’erano in famiglia, sia perché nessuno credeva che io avrei potuto mai laurearmi. E benché mi dicessero:
-Magari ti daranno la pensione di invalidità o magari troverai un bravo ragazzo che si prenderà cura di te…
Questo non era nei miei desideri. E così, insieme alla mia amica del cuore, mi trasferii a Londra cercando di ricrearmi una nuova identità come donna, cercando di liberarmi di tutte quelle aspettative patriarcali e normodotate. L’impatto iniziale fu molto forte e i problemi di salute mi costrinsero a tornare in Sardegna dopo soli tre mesi. I miei genitori lavoravano, ma erano gravemente sottopagati, sfruttati e faticavano a gestire la loro situazione economica, a prendersi cura di mio fratello che era ancora molto piccolo e che spesso doveva stare a casa da solo. Infine, faticavano a gestire me che ero piena di rabbia e di frustrazione.
Una volta assaporata l’indipendenza londinese, non riuscii più ad accettare i confini delle mura domestiche; tutto culminò con un litigio terribile che segnò per sempre la storia della nostra famiglia e me ne andai di casa “sbattendo la porta”. Partii di nuovo per Londra insieme alla mia amica e, da quel momento in poi, entrambe non tornammo più a vivere in Sardegna. A Londra la nostra vita era durissima, ma cominciai a capire che potevo farcela eseguendo lavori molto umili, finché, all’improvviso, un’incidente sul lavoro mi portò al pronto soccorso. Lavoravo nella cucina di un fast food. Ci fu un momento in cui il manager mi chiamò, ma, per via della sordità, non lo sentivo. Quindi lui venne d’improvviso accanto a me urlando:
-Maria! Maria!
In quel momento, mi spaventai e il cestello di surgelati che avevo in mano cadde nell’olio bollente che schizzò sul mio corpo provocandomi delle ustioni. Mi portarono al pronto soccorso. Nonostante fosse un momento duro da affrontare, fu l’ennesima svolta per la mia vita.
Senza compenso per malattia, fui costretta a chiedere aiuto alle autorità locali per non finire senza casa, alla fame e buttata per strada. Il Citizens Advice Bureau di Chelsea mi aiutò immediatamente e, oltre facilitare l’assistenza economica pressoché immediata, mi indirizzò verso corsi vocazionali di specializzazione. Grazie alla Onlus, feci un corso di ‘business administration’, ma quando terminai gli studi e arrivò il momento di cercare lavoro, io continuavo a temporeggiare. Avevo molta paura perché essendo cresciuta come bambina sorda avevo un senso di inferiorità che mi portava a credere di non essere mai abbastanza. Allora i miei tutor mi fecero fare un corso sulla consapevolezza della disabilità e quello fu un passo fondamentale.
In Inghilterra ci sono comunità di persone disabili che sono molto attive, soprattutto nel campo dei diritti umani e civili. Sono anche studiosi e persone molto colte che hanno messo su delle teorie della disabilità a livello sociologico. La comunità disabile della Gran Bretagna dice:
-Se tu sei con la sedia a rotelle o hai avuto un problema fisico che non ti permette di camminare sulle tue gambe, sei paraplegico, ma non sei disabile. Sei disabile nel momento in cui, ovunque tu vada ci sono barriere architettoniche per cui non puoi entrare negli ascensori, non puoi parcheggiarti nei parcheggi accessibili, o non puoi accedere ai bagni.
Quindi loro affermano:
-Noi siamo normali, siamo parte dell’umanità, però veniamo ‘disabilitati’ dalle barriere nella società.
Io questa cosa l’avevo capita a livello intellettuale, ma non l’avevo elaborata a livello emotivo. Seguendo questo corso sulla disabilità, mi chiesero di fare dei ‘finti’ colloqui con una persona, un attore, che recitava perfettamente la parte del dirigente aziendale in modo che io potessi fare pratica a parlare di me stessa e delle mie abilità.
Durante la prima prova, lui mi chiese:
-Signorina, perché lei vuole lavorare qui? Se lei lavora in amministrazione deve rispondere al telefono, come fa a lavorare se lei è sorda?!
In quel momento, non seppi dare una risposta; scappai via e mi misi a piangere. Il mio tutor mi inseguì e mentre ero seduta per terra che piangevo, mi disse:
-Maria ricordati la teoria della disabilità. Se una persona ti chiama usando un telefono amplificato, usando gli apparecchi, tu puoi sentire?
-Sì!
– E se proprio va male, puoi usare il ‘minicom’ giusto?!
-Quindi se tu sei inclusa, puoi fare questo lavoro?
-Sì!
Fu allora che presi la consapevolezza che anche io avrei potuto lavorare; con le strutture adeguate ero perfettamente capace di fare un lavoro come gli altri!
Dopo tre giorni feci il mio vero colloquio di lavoro e mi assunsero alla BBC. La piccola Maria Grazia, bambina sorda, che andava a lavorare alla BBC!
Fu un’esperienza bellissima perché, lavorando nei programmi della comunità, intervistavo moltissimi attivisti disabili e attivisti dei diritti civili. E tutti quelli del team erano tutti disabili. Ero perfettamente integrata e sentivo di essere utile e di essere brava!
Decisi di lasciare la BBC tre anni dopo perché questo progetto andava a chiudersi e non c’erano più i fondi europei però piantarono un seme che poi avrebbe germogliato, perché a questo punto io non ero più la stessa!
Mi iscrissi all’università, mi laureai in sociologia con una tesi sulla inclusione della disabilità citando anche Gramsci (a testimonianza dell’amore per le mie radici e per la mia Sardegna) e da lì la mia carriera fu un susseguirsi di successi, arrivando a essere premiata come la numero uno imprenditrice disabile in Inghilterra! Lavorai come manager cercando di trasmettere agli altri questa lezione che avevo imparato a mie spese…
Nel frattempo mi sono sposata con un ragazzo scozzese che avevo conosciuto alla BBC e sono diventata madre di due bambine che oggi hanno 18 e 20 anni.
Venti anni fa io e mio marito, anche lui affetto da sordità, abbiamo dato vita a un training che insegna le persone a saper ascoltare i bisogni degli impiegati e clienti disabili. Da allora è passato molto tempo: la mia lotta per l’inclusione delle diversità è andata avanti. Io sono Senior Manager per le Pari Opportunità in High Speed Two dove mi occupo dell’inclusione delle persone, circa 2.000 impiegati. Mando avanti progetti come di analisi di statistica delle differenze sulla performance, il Reverse Mentoring, gli aggiustamenti ragionevoli, la strategia dell’accessibilità. Inoltre sono responsabile per i progetti di inclusione delle comunità che vivono lungo la ferrovia, sulle quali i lavori impattano enormemente.
Questa è la mia storia a livello professionale. A livello di carriera e di ambizione. Poi c’è tutto un aspetto particolare dell’essere sardo all’estero e dell’essere sposata con uomo sordo come me e scozzese, con un’educazione diversa dalla mia.
La mia sardità non l’ho mai abbandonata ed è riemersa nel momento in cui sono diventata madre. Quando diventi genitore è come su tornassi alle tue origini e tutto quello che tu hai assorbito nella tua infanzia, i tuoi valori, che hai conosciuto in Sardegna, saltassero di nuovo fuori in modo inconsapevole e si confrontassero con un altro mondo, con altri valori, quelli di un marito nato e cresciuto in Scozia. Lì è iniziata una nuova sfida ancora più grande di quella professionale.
Sono sarda nell’anima, anche se ormai sono fuori da molto tempo però provo anche tanta frustrazione perché non vedo nuovi modelli di sviluppo del territorio. E abbiamo tante persone che si realizzano all’estero, ma non si realizzano qui. E’ un problema che si ripete ciclicamente e che ha coinvolto anche la mia famiglia. Io ho perso mio padre in maniera traumatica: aveva 57 anni e allenava la squadra di calcio degli allievi a Quartu. E’ morto di infarto proprio sul campo di calcio, mentre era in corso la partita dove giocava mio fratello di 17 anni. Mio padre è morto di infarto, di crepacuore, e io credo che in questo abbia influito molto anche il suo dispiacere di non riuscire a trovare lavoro. Era disoccupato da tempo e per cercare di farsi un gruzzoletto faceva l’allenatore e si arrangiava con piccoli lavoretti. Questo fu un momento in cui provai un forte risentimento per la Sardegna, per la sua miopia, per la sua inefficienza e per la sua miseria. Ho sempre pensato che se fosse stato a Londra non avrebbe avuto problemi. A Londra c’è questa apertura a lavorare quando vuoi e quando puoi… a qualsiasi eta’.
Cosa vorrei per il futuro della Sardegna?
Dal punto di vista economico vorrei vedere la nascita di cooperative locali sarde che creano opportunità di lavoro nel territorio e in cui gli impiegati eleggono i propri manager. Queste piccole cooperative possono raggrupparsi e diventare “corporations” sociali, come la Mondragon, “corporation” nella Top Ten delle “corporations” in Spagna con una conglomerazione di più di cento cooperative locali. Il modello Mondragon ci insegna che c’è spazio per tutte le abilità, sfruttando le bellezze del territorio, del turismo, dell’agricoltura e dei prodotti locali, ma anche l’abilità di creare servizi online di tutti i tipi (fiscali, legali, consulenza tecnica). E’ un vero proprio modello di ‘server’ che importa il talento, lo sviluppa e lo rilancia, dove gli impiegati hanno la possibilità di ampliare le proprie competenze e trasmettere le proprie agli altri. La premessa di tutto questo è che i trasporti interni e internazionali debbano essere migliorati, resi accessibili e a prezzi ragionevoli per chi vive e lavora con la Sardegna. Vorrei vedere in Sardegna adottati nuovi standard di inclusione e di accessibilità lavorativa e urbana, con l’abbattimento sistematico delle barriere architettoniche che concilia architetturalmente il diritto all’accessibilità con la storia.
E infine, come si può intuire dalla mia testimonianza sull’educazione, auspico un’educazione molto più egualitaria e inclusiva per le future generazioni.”
Oggi Maria Grazia è una donna sensibile, bella, capace e sognatrice.
Chi sperava che il successo della sua vita dovesse dipendere dal matrimonio con un uomo ricco e facoltoso, è rimasto deluso. Lei ora è una manager di altissimo livello! Nel 2022 ha scritto e pubblicato il romanzo “Il Fruscio Degli Eucalipti” (Edizioni Il Maestrale), una lettura semplice, allo stesso tempo emozionante, che invita a vivere la disabilità come un’opportunità; un’esperienza distante dall’ideale di perfezione fisica e psicologica di cui sono vittima i nostri giovani.
“Questo mondo ci vuole super belle, super forti, super attive, ma non esistono persone super, esistono solo donne e uomini veri e imperfetti…”

Di Stefania Cuccu

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