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Parlandoci Chiara…mente: chiedo scusa alla favola antica ma io amo sia la cicala che la formica

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“Chiedo scusa alla favola antica, se non mi piace l’avara formica. Io sto dalla parte della cicala che il più bel canto non vende, regala.”

Chiedo scusa al Maestro Rodari, per questa riflessione sulla sua nuova versione della favola antica, della Cicala e della Formica.

In particolare, la scelta di scriverla a caratteri cubitali, all’ingresso della scuola, non mi è sembrata molto azzeccata. Passando lì davanti, non posso fare a meno di rileggerla ogni volta, di provare a capire meglio il suo messaggio, e rimugino!

Chi non conosce l’antica favola della cicala e della formica?

Come ogni favola, anche questa ha una sua morale. Esalta il valore del lavoro, l’importanza di fare buon uso del tempo a disposizione, accumulare competenze e conoscenze, e tutti gli strumenti utili per costruirsi un futuro migliore di quel presente. È questo che mi suggeriva la storia.

“Impara l’arte e mettila da parte!” Mi pare un proverbio sempre attuale.

E sarà che era una favola che ascoltavo e leggevo molto volentieri. E sarà che era una di quelle, che faceva viaggiare la mia fantasia, nelle fredde serate invernali, mentre stavamo accalcati vicino al fuoco crepitante. E sarà che, mentre una formica laboriosa, previdente e organizzata, grondante di sudore faticava sotto il solleone, una cicala “fannullona”, se la spassava.

E sarà per questo che preferivo la Formica alla Cicala!

Le file di formiche, che in piena estate e sotto il sole, trasportavano i chicchi di grano nei loro rifugi, mi rapivano. Seguivo con lo sguardo attento, accovacciata per terra, quelle colonne di chicchi di grano, che a malapena lasciavano intravedere le zampette, che si muovevano veloci. Qualche volta perdevano il bottino, ma in un attimo, lo rimettevano in groppa, e via! Con forza, spingevano  quei grossi chicchi nella tana, e via veloci a prenderne altri!

Il lavoro incessante, era quello che vedevo fare in casa durante tutto l’anno, inseguendo il tempo delle stagioni: dall’aratura alla semina, dal raccolto alla conservazione delle scorte per tutto l’anno, per una famiglia di sei persone.

D’estate potevo osservare le formiche, ma non le cicale. Immaginavo quella particolare Cicala, seduta all’ombra, con la chitarra in mano a strimpellare e cantare mutetus.

Ma l’inverno con la neve, il ghiaccio e il vento gelido, nelle favole arriva sempre, e la Cicala non sa che fare. Ha i crampi per la fame e gela per il freddo pungente. Immagina la Formica, comodamente seduta di fronte al camino, mentre sgranocchia il grano. La Cicala non si dà per vinta e prima di arrendersi a morte certa, seppur a malincuore, va dalla Formica a chiedere aiuto e rifugio. La Formica, socchiude appena l’uscio di casa e, trovandosi di fronte la cicala affamata e umiliata, decide di togliersi un sassolino dalla scarpa:

Ah, eccoti!

-Adesso ti disperi?

-Ma mentre d’estate faticavo, tu invece cosa facevi? Cantavi e suonavi eh?

-E allora, adesso, BALLA!

Ecco la risposta piccata della Formica, prima di sbattere la porta in faccia alla povera Cicala.

Che esagerazione! Non certo un esempio di gentilezza!

Certo non si poteva sprecare o regalare nulla, ma la carità non si negava mai a nessuno. Nemmeno quando tutti eravamo poveri!

Non è tanto la nuova versione di Rodari che contesto, scritta tanto tempo fa, ma i due messaggi principali che veicola oggi, nel terzo millennio.

La Formica condannata a lavorare senza sosta per sopravvivere e la Cicala disprezzata dalla Formica per la sua arte e riabilitata dal poeta perché la regala. La Cicala ha sempre fatto la sola cosa che sapeva fare, cantare!

Ma la Formica non poteva sapere che cantare era il suo lavoro!

Oggi, trovare un posto di lavoro, che non sia precario, che sia pagato e non sottopagato, che comprenda riposo e ferie e che preveda un orario di lavoro accettabile, è un vero miracolo. Come la povera formica i giovani devono lavorare incessantemente per poter vivere. Un lavoro diventato quasi una schiavitù, per chi ha competenze e per chi non ne ha. Sempre più costretti a svolgere più “lavoretti” per potersi mantenere. Chi ha qualche opzione da spendere, scappa altrove! E ahimè, chi lasciamo andar via, spesso sono i giovani che abbiamo formato nelle nostre Università e che poi non inseriamo nel mondo del lavoro, lasciando che altri li valorizzino.

E torniamo alla Cicala. Cantare era il suo lavoro, ma anche Tremonti l’avrebbe considerata una fannullona!

Una volta disse che con la cultura non si mangia.

Ci credo bene! Se il lavoro degli artisti non è considerato un lavoro non può avere nessun ritorno economico.

Durante la pandemia, chiusi in casa e con ogni attività culturale sospesa, abbiamo capito tutti, il valore dell’arte! Oggi che finalmente, ogni piazza, ogni strada, ogni teatro, ogni angolo di paese si rianima, con le più svariate proposte culturali, oggi che finalmente possiamo riappropriarci degli spazi da due anni deserti, vediamo quasi un assalto agli eventi!

Si ha la sensazione di tornare a respirare, dopo momenti di totale asfissia.

E allora, non mi va di accettare la formula che la Cicala è più simpatica, perché non si fa pagare per la sua performance. Si è vero, gli artisti non sempre sono pagati, per quello che davvero fanno. La loro arte porta leggerezza, ma è fatta di studio e lavoro continui.

Riuscite ad immaginare una vita senza musica, senza libri, senza musei, senza teatro, senza quello che chiamiamo “svago”?

Ascoltare con emozione un’opera o una musica, può catapultarci indietro nel tempo, a momenti che avevamo dimenticato, e che solo una musica o una canzone possono farci rivivere, riportando a galla quelle emozioni.

Il nostro corpo è costituito per l’85 per cento di acqua, ma io penso che siamo per lo più fatti di creatività, sentimenti, emozioni che manifestiamo e riviviamo attraverso e per mezzo dell’arte. Un balsamo per l’anima, che chiamiamo svago, “passatempo”, che con leggerezza ci arricchisce e fa spazio ai sentimenti più profondi.

L’arte è la cosa più democratica, trasversale e universale che abbiamo, perché il suo linguaggio parla a ogni singola persona, e tutti in modi diversi, possono capirla e apprezzarla.

E dunque in conclusione, chiedo scusa alla favola antica, ma io amo sia la cicala che la formica!

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