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Parlandoci Chiara…Mente: Tutto ha una fine. Solo l’odio sembra essere eterno

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Guardate com’è sempre efficiente,

come si mantiene in forma,

nel nostro secolo, l’odio.

Come gli è facile avventarsi, agguantare.

Non è come gli altri sentimenti.

Insieme più vecchio e più giovane di loro.

Da solo genera le cause

Che lo fanno nascere.

Se si addormenta, il suo non è mai un sonno eterno.

L’insonnia non lo indebolisce, ma lo rafforza.

(Wislawa Szymborska)

Ho avuto il privilegio di conoscere Edith, una poetessa ottantenne, bravissima e dolcissima, quanto perennemente triste. Mi è stata presentata in un teatro a Roma lo scorso anno. Teneva tra le mani un libriccino con una dedica personale per me. Ogni poesia di quella raccolta è un accumulo di immagini quasi fotografiche che raccontano in maniera dettagliata momenti drammatici della sua infanzia. Un treno che la porta via!

Uomini, donne, bambini, divisi, separati dai loro cari, privati dei loro averi, della loro dignità e deportati. Costretti al freddo, umiliati da continue vessazioni e violenze, costretti a mangiare qualunque cosa per sopravvivere, cose che solo un odio cieco può giustificare.

Baldanzoso e incurante nella sua corsa, il treno senza un’apparente meta, senza orari e ad ogni fermata più carico, trasporta corpi schiacciati gli uni agli altri in una intimità inevitabile.

Le diverse tinte del cielo, il verde delle colline e delle pianure, il bianco della neve scorrono veloci dalle fessure troppo strette e troppo in alto per una bambina, si fa notte quando penetra le lunghe e buie gallerie. Angosce, brandelli di ricordi soffocati e mai dimenticati. Ancora aggrovigliati, ad intralciare perennemente il cammino ad ogni suo passo. Sono ricordi taglienti come rasoi, che Edith, racconta attraverso le sue poesie “Nella notte un treno”. Rievoca immagini di terribile violenza in seguito alla delazione di un vicino, il proprietario della casa abitata dalla famiglia de Hody.

Nel cortile comune dove si giocava e si rideva fino a poco prima, l’odio del vicino annulla la vita di una intera famiglia. Edith, le due sorelle e i genitori vennero arrestati dalla Gestapo e deportati. Il padre, magistrato presso il tribunale di Strasburgo e membro attivo della resistenza francese morì a Mauthausen tre settimane prima della liberazione. Edith e le due sorelline tornarono nella loro casa  dopo alcuni mesi. La madre, famosa pittrice, membro dell’alta borghesia francese, venne rilasciata dopo diversi mesi di prigionia. Lo shock di Edith nel rivedere la madre in quelle condizioni fu tale che per diversi anni non parlò più. Le sue poesie, di immenso dolore raccontano questo dramma mai superato.

Chissà quante volte si è raccontata prima che i suoi versi scorressero puliti e senza inciampi fino a concretizzarsi sul foglio bianco!

Perché questa giornata non si svuoti di significato, perché non diventi col tempo una mera ricorrenza calendarizzata, è importante che se ne parli nelle scuole, con i ragazzi di ogni età. Che si visitino i luoghi di deportazione presenti anche in Italia, per prendere coscienza che non siamo estranei a tutto questo orrore.

Anche l’Italia fascista abbracciò l’ideologia della superiorità della “razza”, creata a tavolino da chi deteneva il potere col chiaro obiettivo di “selezionare una razza pura”, eliminando fisicamente tutti quelli diversi, imperfetti che non rappresentavano il modello da raggiungere.

Per perseguire lo scopo utilizzarono ogni mezzo possibile: i campi sorti in Europa e i forni crematoi ne sono un esempio, purtroppo ancora tangibile. La “Risiera di San Sabba” a Trieste venne dapprima utilizzata dall’occupatore nazista come campo di prigionia provvisorio, poi per la detenzione ed eliminazione di ostaggi, partigiani, detenuti politici ed  ebrei. Nella “cella della morte” venivano stipati i prigionieri destinati ad essere uccisi e cremati nel giro di poche ore.

L’odio si rigenera continuamente, trovando sempre nuove cause per alimentarsi e ogni “diverso” é una minaccia.

L’odio velato, camuffato, strisciante o palesato in forme di violenza che sottovalutiamo quotidianamente, non ha mai abbandonato l’essere umano. C’è sempre qualcuno che guarda e giudica altri da un unico angolo, il suo, dal quale non si è mai spostato, trovando negli altri sempre qualcosa in “meno” , qualcosa che non rispecchia il modello ideale. Dalla sua posizione di potente indicherà anche agli altri nuove categorie da discriminare facendo leva sulle paure inconsce della massa e sul terrore di perdere la posizione privilegiata in cui si trova.

Un tempo i meridionali erano gli odiati, i terroni, quelli più a Sud, o troppo a Sud dell’Italia. Poi gli odiati sono diventati i migranti, più a Sud dei Meridionali. Migranti che muoiono in mare, sotto lo sguardo impassibile di chi potrebbe intervenire e non lo fa; sotto gli occhi di chi guarda impotente; sotto gli occhi dei nostri figli che osservano la nostra poca umanità.

Se accolti vengono tenuti segregati in centri dove la dignità non entra. Utile mano d’opera a poco prezzo, categoria da sfruttare con paghe da fame.Senza tutela né garanzie, alloggiati in capannoni sovraffollati e privi dei servizi essenziali. Lì, solo per lavorare. Schiavi moderni “dell’uomo bianco”. Già classificati come delinquenti, ignoranti o più benevolmente strani per la lingua che parlano, per le religioni che professano, per gli abiti che indossano.

Continuiamo a pensare che la civiltà appartenga solo all’Europa. Anzi no, solo ad alcune nazioni europee, quelle più vicine al nostro mondo. Anzi no, la civiltà è solo in Italia e precisamente in una parte ben precisa della Penisola. C’è sempre uno più a Sud, più a Meridione di un altro e tanto basta per innescare l’odio e la discriminazione. Se ci badiamo bene anche nell’ambito dello stesso territorio, del paese, c’è chi è ai margini per le stesse ragioni. Le grosse metropoli mostrano quanto sia diversa la realtà nei centri urbani rispetto alle periferie. Ogni città ha le sue “favelas”. Quartieri dormitorio dove si coltiva la distanza dall’altro.

Le opere di carità si moltiplicano, associazioni e singoli cittadini si attivano per venire incontro ai bisogni crescenti. Tutto questo placa la nostra coscienza. Dare qualcosa è la cosa più semplice e più scontata, ma accogliere le persone con un sorriso, una parola gentile, ci rende più umani. Lasciare morire in mare le persone non lo è!

Io non sono razzista, ma… è una frase ricorrente che ci mette di fronte all’ incapacità di andare oltre le nostre paure e avvicinarci a quello che vediamo estraneo per capire culture e civiltà che non conosciamo, ma che meritano rispetto per i valori che portano.

Se questo modo di agire non è opera dell’odio allora cos’è?

Siamo osservati speciali, i nostri comportamenti sono l’esempio che diamo alle nuove generazioni. La storia si ripete ciclicamente e inevitabilmente quando non si dà il giusto peso alle cose che accadono sotto i nostri occhi ogni giorno, quando si dà tutto per acquisito e scontato, quando ignoriamo la storia che ci ha portato fin qui.

Sdoganare, minimizzare o declassare certe forme di violenza o episodi evocativi di periodi storici che si pensa non torneranno più. Formare categorie di chi è più o meno degno di stare nel nostro mondo, potrebbe farci scivolare verso relazioni sociali sempre più conflittuali e contrapposte.

L’odio genera odio e l’odio fa ripartire la giostra.

“Come si mantiene in forma,

nel nostro secolo, l’odio.

Se si addormenta, il suo non è mai un sonno eterno”.

Comments (1)

  1. Molte inesatezze in questo pezzo. Non sono ebrea, gli eventi di cui si parla sono accaduti in Francia, miei genitori, cattolici, non sono stati arrestati per motivo di razzisma, ma perché decisamente anti fascisti, mio padre era nella resistenza francese ed è stato prigioniero politico, pluridecorato a titolo postumo dal generale de Gaulle. Il fatto vero è che la mia famiglia ha patito gli stessi traumi e le stesse sofferenze degli ebrei senza esserlo e questo mi fa sentire solidale con loro. La malvagità umana purtroppo non conosce né frontiere né religioni.

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