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Portoscuso: tempo di mattanza, il rito della fecondità e la metafora delle reti

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Storie di mare e di tradizioni meritano essere portate a conoscenza poiché da esse si collegano usi, consuetudini e costumi della nostra cultura simili in tutto il bacino del Mediterraneo. Ogni mattina il rais invocava davanti ad una croce tessuta di palme che emergeva dalle acque e così cessava l’incertezza della pesca e consentiva di credere in un mondo dove tutto avrebbe aiutato a ripetere ancora una volta l’evento della buona stagione della pesca. Immediatamente, dopo il lavoro collettivo, i tonnarotti cantavano una vecchia canzone che lodava una certa “Lina”, ovvero la rete da poco calata in mare. Viene cantata come una “signorina ancora vergine”. Quando la rete sarà calata in mare con i tonni all’interno, “Lina” non sarà più illibata ma avrà perso la sua verginità. “Lina”, la rete, vergine al momento di entrare in acqua, ingravidata dallo stupro collettivo dei tonni, era vista come ventre fecondo; e i tonni, di quel ventre fecondo sarebbero stati allo stesso tempo violentatori e figli da partorire.

Sant’Antonio da Padova, protettore delle spose ( a Lui le mogli che non riescono ad avere figli chiedono la grazia per rimanere incinte) ed è il santo delle tonnare, a lui i tonnarotti chiedono la grazia, identica a quella delle spose perché le reti siano ricche di pesce. Se la grazia non era concessa, il Santo veniva minacciato e poi ripescato non appena il primo gruppo di tonni era entrato nelle reti. Quando questo accadeva al primo issare delle reti cariche di tonno, i tonnarotti cadenzavano le operazioni della cattura dal ritmo di un canto “scialom, salaam” ovvero “benvenuto”.  La rete arrivando a poca distanza dalla superficie, costringeva i tonni a sguizzare a pelo d’acqua mentre i tonnarotti si sporgevano dalle barche pronti a colpire attendendo il comando del rais. Al suo urlo il mare era subito macchiato di rosso e gli arpioni tiravano in barca i tonni.

 

 

Foto gentilmente concessa da Gesuina Biggio

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