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Salari, Italia fanalino di coda in Europa. L’impatto delle inappropriate chiusure

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Il 2020 rappresenta nel complesso un anno negativo per la crescita dei Paesi europei.

Il rallentamento delle attività produttive, causa Covid,  fanno registrare nell’intera UE un calo del monte salari dell’1,97%.

A incidere sono soprattutto i lockdown e la conseguente perdita dei posti di lavoro.

Il triste primato spetta però all’Italia, sebbene intellettuali e dotti a vario titolo manipolino volontariamente i comprovati disastri del governo giallo-rosso. La strategia più riuscita (bisogna riconoscerglielo) è quella di persuadere i cittadini… semplicemente confondendoli. Ecco come i negazionisti della prim’ora si riscoprono profondi estimatori delle chiusure, solo per dar contro alla parte politica meno simpatica.

Se è vero che i numeri non mentono, allora i dati delle tabelle Eurostat (aggiornate alle principali componenti del Pil), dovrebbero mettere a tacere per sempre questi pseudo-esperti del nulla. La riduzione di salari e stipendi in Italia è di quasi 40 miliardi in un anno, un triste primato da vantare.

Più nello specifico, l’anno della pandemia ha registrato una perdita dei salari di 39,2 miliardi, il 7,47% in meno rispetto all’anno precedente. Un crollo causato dal ricorso massiccio alla CIG e agli altri ammortizzatori sociali, come dalla perdita dei posti di lavoro per il mancato rinnovo dei contratti a termine. In un anno i contributi sociali versati dai datori di lavoro si sono ridotti del 5,4%, passando da 194,2 miliardi del 2019 a 184 nel 2020. Inevitabile il crollo del Pil: da 525,732 miliardi nel 2019 a 486,459 miliardi nel 2020.

La Francia ha perso 32 miliardi in salari e stipendi, la Spagna 28,37 miliardi.

In Germania la massa salariale si è ridotta dello 0,87%, per un valore di 13 miliardi, mentre l’Olanda registra addirittura una variazione positiva di salari e stipendi.

La girandola degli “apri e chiudi” non è servita ad allentare i contagi e di contro ha stritolato il tessuto imprenditoriale italiano. Questo perché nessun governo ha pensato di integrare il salario, che in CIG è inferiore rispetto a quanto percepito in un periodo di attività piena. Nella maggioranza dei casi, inoltre, la CIG è stata erogata in ritardo a causa di un sistema obsoleto e totalmente impreparato per affrontare una crisi di tale portata. Il risultato che ne emerge, oltre ogni sterile strumentalizzazione, è una totale incapacità nel contenere il crollo delle statistiche Eurostat.

Tanto basti ai mistificatori della realtà.

Anche perché… vi siete chiesti cosa accadrà nel momento in cui verrà interrotto il blocco dei licenziamenti? La sola immaginazione provoca un brivido lungo la schiena.

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