Lavoro

SIDER ALLOYS: BASTA CON L’INUTILE TEATRINO, SI FACCIA CHIAREZZA UNA VOLTA PER TUTTE.

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Siamo alle solite. Ciclicamente da svariati anni la vertenza ex Alcoa torna alla ribalta mediatica grazie al consueto, purtroppo ripetitivo come un stanco rituale, comunicato delle forze sindacali che implora la parola fine su una vicenda che ormai si trascina dal 2009 e che ancora oggi non ha trovato una risoluzione definitiva.

In un senso o nell’altro.
Stiamo ai fatti: sono passati 7 anni e mezzo dalla chiusura della fabbrica. Il che significa oltre 2.700 giorni senza più produrre un grammo di alluminio e senza che la stragrande maggioranza dei lavoratori sia stata rioccupata dentro lo stabilimento o altrove.

Ancora adesso, dopo le grottesche pantomime dei primi anni con improbabili soggetti acquirenti, dalla tristemente nota Aurelius fino alla Klesch, seduti al tavolo delle trattative per la cessione dello stabilimento con altrettanti improbabili (in quel ruolo) ministri della Repubblica, il principale nodo di competitività alla base della capitolazione di Alcoa nel 2012, quello delle tariffe energetiche da riequilibrare con la media europea, non è stato definitivamente sciolto.

A dire il vero perché la multinazionale Sider Alloys tergiversa e non si è ancora assunta fino in fondo le responsabilità che le competono. Visto e considerato che le garanzie economiche e giuridiche per sottoscrivere l’accordo con Enel, a due anni e quattro mesi dall’acquisizione degli impianti nel febbraio 2018, almeno a detta del governo nazionale, stavolta ci sarebbero tutte.
Condizioni senza le quali sarebbe impossibile produrre alluminio, tenuto conto che l’incidenza del costo energetico in questo genere di produzioni si aggira intorno al 40% dei costi d’esercizio totali.

Nondimeno l’interrogativo che in molti iniziano a porsi è perché la multinazionale svizzera, la quale ha assunto in questi due anni una parte di ex lavoratori per le fasi di pre-revamping, ma non ci ha pensato due volte a collocarli in cassa integrazione (approfittando dello scenario di emergenza sanitaria ingenerato dal Covid19), dimostra di non voler scommettere sulla definizione finale della vertenza rischiando qualcosa in proprio e, come in una di quelle trattative commerciali che si intraprendono cercando di tirare al massimo il prezzo, ogni volta che si arriva a conseguire un determinante passo in avanti, ad esempio il possibile accordo con Enel, tira fuori una scusa o rimodula le proprie condizioni?

Qualche scopritore d’acqua calda afferma perché, come hanno fatto miriadi di imprenditori nel territorio sfruttando volta per volta finanziamenti pubblici spesso a fondo perduto, questa azienda sia qui non per investire il proprio danaro ma solo per sfruttare tutto ciò che lo Stato e la Regione potranno mettere a disposizione per riavviare la fabbrica e rioccupare le maestranze.
In altre parole una lettura per significare che se investimento verrà concretizzato, lo sarà a costo zero o con la minima esposizione economica da parte dell’investitore.

In tal senso è importante ricordare che la Sider Alloys non ha speso un euro per acquisire lo stabilimento. Ha ottenuto gli impianti praticamente gratis (come peraltro Alcoa a metà anni 90) e per rilevarli ha preteso fin da subito le massime condizioni di vantaggio possibili sfruttando la situazione di grave depressione economica territoriale e l’elemento di pressione costituito da centinaia di lavoratori permanentemente mobilitati per riconquistare, ancora dopo tanti anni dalla fermata della fabbrica, il lavoro.

Oltretutto la multinazionale svizzera è tale solo tecnicamente. Ossia perché le sue attività risiedono o si sviluppano in più di uno Stato. Ma se la definizione di multinazionale da prendere a esempio è quella di una società come Glencore o Rusal, allora è evidente che stiamo parlando di ben altra strutturazione aziendale e quindi di tutt’altra storia.

Elemento questo che preoccupa e non poco in prospettiva. In quanto chiunque abbia le minime competenze in ambito industriale sa bene quanto sia difficile riavviare, far marciare e rendere produttivo uno smelter di alluminio primario; quanti e quali investimenti siano necessari e quanto onerosi siano i costi d’esercizio per traghettare l’attività produttiva nelle fasi iniziali, per produrre metallo di qualità (ammesso che si riesca subito) per commercializzarlo allo scopo di introitare ricavi da riutilizzare per il mantenimento in marcia della fabbrica e in prospettiva conseguire utili.

Rispetto a questo scenario la Sider Alloys non appare, almeno in questo momento, strutturata a sufficienza. Ancorché taluni ipotizzino che dietro essa possa celarsi qualche altro colosso industriale straniero. Magari cinese, Ma nessuno ha finora avuto conferme. E con le suggestioni, certamente, non si possono fare i conti.
Nemmeno si può però continuare a partecipare a un teatrino di dubbio gusto nel quale non si capisce bene il possibile esito.

Mai come adesso tocca alla politica, soprattutto al governo centrale (ma senza assolvere quello regionale dalle sue responsabilità e da un ruolo di pressione costante verso l’esecutivo nazionale), sbrogliare questa intricata matassa.
Innanzitutto per rispetto nei confronti di tutti i lavoratori che da oltre 2.700 giorni attendono di riconquistare la propria dignità; sopravvivendo con il sempre più ridimensionato ammortizzatore sociale. E in ambito locale per la dovuta sensibilità verso l’intero territorio che da anni attende di conoscere se i proclami distribuiti a più riprese sul futuro del Polo Industriale di Portovesme siano attendibili e veritieri.
Ma in generale anche per rispetto verso tutti i contribuenti italiani e sardi che con i soldi delle loro tasse hanno concorso a finanziare il prestito a tasso estremamente agevolato e il finanziamento a fondo perduto, inseriti nell’accordo di programma per il rilancio produttivo dello stabilimento.
Danari, almeno così veniva ribadito in ogni tavolo ministeriale, stanziati per garantire la rioccupazione delle maestranze e che quindi si auspica non vengano sperperati se non ci sarà la certezza assoluta che ciò avvenga.

Il governo (si spera già dall’imminente incontro in videoconferenza del prossimo 15 giugno fra proprietà e organizzazioni sindacali) dovrebbe pretendere dalla Sider Alloys definitiva chiarezza sulla sua volontà di concludere gli ultimi passaggi della vertenza e poi, doverosamente, dovrebbe verificare che questa azienda abbia effettivamente tutte le caratteristiche per riavviare e gestire una fabbrica di alluminio come quella di Portovesme.
Sarebbe paradossale, infatti, che si firmasse l’accordo energetico e non si arrivasse ugualmente alla ripartenza per miriadi di problemi che volta per volta potrebbero emergere nel prosieguo delle attività di revamping e ripartenza.
I soldi dell’accordo di programma si devono spendere se davvero ci sono prospettive concrete di riavvio. Altrimenti il triste epilogo già visto in altre vertenze del territorio sarà solo rimandato; e anzi presto diverrà una certezza.
Meglio la franchezza della verità spiattellata sul viso oggi, anche se potrebbe essere impietosa, che altre perdite di tempo inutili unicamente perché si è sprovvisti di un’alternativa credibile da proporre ai lavoratori e alle loro rappresentanze sindacali, e si ha il timore di ammetterlo.

In alternativa però potrebbe essere proprio l’esecutivo nazionale a trovare strumenti e percorsi per rafforzare e/o affiancare la multinazionale esistente.
Che purtroppo, fin da subito, è stata l’unica ad essersi affacciata a Portovesme. E già questo dovrebbe far riflettere tutti sul grado di appetibilità di una produzione di alluminio da poco più di 150.000 t in Sardegna, in un contesto di mercato continentale monopolizzato dai grandi player e attualmente gravemente depresso dalla crisi economica, in particolare del settore automotive.

D’altronde, è bene ricordare anche questo, su Alitalia, ex Ilva e altre vertenze analoghe, l’impegno dello Stato si è dimostrato molto più coraggioso e coinvolgente. Parliamo ovviamente di altri contesti e di ben altri numeri e quindi incidenza economica. Ma non si dimentichi mai che l’unità produttiva di Portovesme è l’ultima del settore dell’alluminio primario in ambito nazionale. E perciò è stata più volte considerata strategica. Se non altro per non perdere il know how in un comparto fondamentale, rispetto a un metallo ancora (si spera anche in prospettiva quando si uscirà dall’attuale crisi economica) estremamente utilizzato nel settore manifatturiero per quanto riguarda le produzioni ad alto valore aggiunto.

Orbene, se la Sider Alloys non fosse in grado di concretizzare l’investimento in autonomia, lo Stato potrebbe sostenerla direttamente.

Ma a ogni modo, a prescindere da tutte le riflessioni possibili e inimmaginabili, è davvero giunto il momento di porre la parola fine a questa vicenda.

Articolo di Manolo Mureddu

Comments (1)

  1. Graziano Lebiu

    L’accordo con Enel per abbattere i costi energetici è la carta che scopre il gioco non solo in mano di Sider Alloys, ma anche del Governo e delle Organizzazioni Sindacali e della Regione Sardegna. E’ il punto di non ritorno.

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