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SULCIS: 4 AREE ARCHEOLOGICHE A RISCHIO. LA REGIONE TACE DAVANTI ALLE RICHIESTE DEI LAVORATORI EX ATI-IFRAS

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La Sardegna a livello nazionale possiede il 18,4% delle aree e dei parchi archeologici italiani attestandosi al primo posto, secondo i rilievi Istat del 2017. Un patrimonio storico importante che dovrebbe rendere l’isola la più gettonata soprattutto da coloro che amano visitare i siti storici. È chiaro che per renderli fruibili al pubblico c’è necessità di personale specializzato, in modo da preservarli e metterli in sicurezza. Questo servizio è affidato dalla Regione Sardegna attraverso un bando che è diventato rinnovabile negli anni. L’ultimo è stato messo a concorso lo scorso settembre e a vincerlo risulta essere un’azienda di Cesena precisamente la “Formula ambiente”. Ad essere stati esclusi dal bando alcuni servizi come quelli relativi ai cantieri archeologici e a pagarne le spese saranno i quattro siti archeologici del sulcis: il Nuraghe Seruci di Gonnesa, il Nuraghe Sirai di Carbonia, le aree archeologiche di Sant’Antioco e quelle di Pani loriga a Santadi. Il 30 giugno, se non ci saranno novità, questi siti saranno chiusi e il personale specializzato impiegato in altri compiti. Simona Ledda, archeologa e dipendente ex Ati-Ifras, si dichiara preoccupata per questa scelta “I Sindaci interessati alle zone escluse dal bando, insieme al Fondazione del Cammino di Santa Barbara avevano chiesto da settembre di integrare il bando e negli incontri tenuti in Regione ad ottobre e a dicembre era stata assicurata la variazione. Mentre nell’ultima riunione fatta tra gli enti, la Regione e i sindacati che hanno sempre taciuto sulla situazione, è stata confermata l’esclusione dei campi archeologici dal bando.”

Una doccia fredda per tutti coloro che con passione e professionalità hanno svolto un lavoro esclusivo, di scoperta e di messa in sicurezza degli scavi “Un danno gravissimo al patrimonio culturale della Sardegna – prosegue la Ledda -. Chiediamo al presidente Solinas che trovi una soluzione considerato che ha sempre dichiarato sia importantissimo portare avanti la tutela del patrimonio culturale sardo. La nostra protesta non è rivolta alla società appaltatrice che ha vinto il bando anche perché il nostro lavoro proseguirà con altre mansioni, ma siamo preoccupati perché tutto il lavoro fatto fino ad ora potrebbe andare perso.” Chiaramente se i siti verranno chiusi la natura farà il suo corso invadendo tutte quelle aree che erano state ripulite e messe a disposizione per la visione “Già nel 2016 – insiste l’archeologa – vennero chiusi i siti e solo dopo due anni abbiamo potuto riprendere i lavori, adesso invece li chiudono definitivamente. La Sardegna è anche turismo culturale, abbiamo tanti siti che non vengono valorizzati e i pochi che abbiamo come questi quattro nel sulcis cadranno nell’oblio, ecco quello che accadrà.”

Oltre alla chiusura si verrà a creare un altro problema: la società entrante dovrà formare il personale per le nuove mansioni. “Noi che siamo archeologi – prosegue la Ledda – non so che ruolo andremo ad occupare perché si tratterà di lavorare in siti minerari dismessi e la figura dell’archeologo minerario non esiste. La società vincitrice, che si occupa di rifiuti, dovrà comunque fare un corso di formazione di circa quattro mesi e quindi dovremo ritornare ad essere alunni, insieme a persone che hanno dai 59 ai 63 anni con varie specializzazioni e quindi non hanno bisogno di ulteriori integrazioni. Noi, tra l’altro, essendo laureati siamo stati già qualificati dall’Università e non necessitiamo di corsi. Non riusciamo a capire perché non si sia trovata una soluzione per far continuare anche gli enti sardi come la fondazione del Cammino di Santa Barbara che ha un progetto di valorizzazione attorno ad un cammino che copre più 500 km in cui ricadono delle importanti aree archeologiche del sulcis e del guspinese.”

Il bando ruota attorno alle esigenze del parco Geominerario della Sardegna, quindi per tutto quello che riguarda le lavorazioni inserite al suo interno, le aree dismesse delle miniere e le bonifiche, attività quest’ultima di cui si occupa già da anni l’Igea che ha operai ex Ati-Ifras con mansioni specifiche. A difendere le richieste dei lavoratori sono tutte le amministrazioni coinvolte che da 20 giorni hanno chiesto un appuntamento con la Regione ma, allo stato attuale, ancora non ha convocato nessun incontro, probabilmente perché la decisione sarà irrevocabile. Inutili i tentativi di contattare l’assessore alla cultura, Andrea Biancareddu, da parte dei lavoratori che non ha mai espresso il suo pensiero sulla situazione grave che si è venuta a creare. Non meno importante è da ricordare che l’appalto attuale avrà una durata di 24 mesi quindi tra due anni i dipendenti si troveranno, probabilmente, in un’analoga situazione di precariato.

Da più parti si vuole far ripartire l’isola attraverso il turismo, tra le poche certezze per incrementare il sistema economico isolano ma nei fatti poi si impedisce agli esperti di rendere fruibili i siti archeologici, veri e propri luoghi di attrazione per i villeggianti ma anche per i Sardi che vogliono conoscere meglio la propria storia. A pagarne le conseguenze sarà soprattutto il sulcis, la provincia più povera d’Italia, che con la chiusura dei lavori nelle aree archeologiche più importanti vedrà un probabile decremento del turismo relegandola a cenerentola della Sardegna.       

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