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Dijana Pavlovic, movimento Kethane: “Nel recovery plan vengano inclusi anche i rom”

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Dijana Pavlovic, attrice serba di origini rom – naturalizzata italiana – nonchè attivista del movimento Kethane, in occasione della Giornata internazionale di rom, sinti e caminanti ha annunciato che il prossimo 15 aprile presenterà un documento al governo.

In questo documento ci saranno alcune richieste formali per inserire anche il popolo nomade nel piano nazionale di ripresa e resilienza.

In un’intervista all’Adnkronos, la Pavlovic afferma:Dobbiamo avere il coraggio di dire che siamo una risorsa importante, chiedendo allo Stato di riconoscere il ruolo dei nomadi all’interno della rinascita del Paese. Il Covid ha reso le condizioni ancora più drammatiche. Circa il 40% delle comunità rom e sinti vive di economia circolare informale, guadagnando attraverso l’organizzazione di mercatini locali. Ora queste attività sono completamente sparite. Perciò anche dal punto di vista economico è un vero e proprio disastro.

La comunità rom chiede di non rimanere tagliata fuori dalla partita sui fondi europei per la ripresa. Oltre il 24% dei rom e sinti vive senza accesso ai servizi primari come acqua ed elettricità e l’aspettativa media di vita è inferiore di circa 10 anni rispetto alle altre persone. Abbiamo 40mila bambini completamente tagliati fuori dal sistema scolastico.

Rom, sinti e caminanti sono la minoranza etnica più diffusa in Europa, con 12 milioni di appartenenti.

In Italia, per quanto difficile stabilirlo con esattezza, i rom sarebbero circa 180mila: lo 0,23 per cento della popolazione.

Per l’Associazione 21 Luglio, una piccola percentuale di questi, circa 18mila persone, vive in condizioni di emergenza abitativa e in campi attrezzati o baraccopoli informali.

La crisi pandemica che ha investito il nostro Paese ha sicuramente peggiorato le condizioni di vita di numerose comunità. Alcuni contesti sono stati segnati da deprivazione alimentare, assenza di accesso ai ristori economici dovuti alla non regolarità delle attività lavorative, mancanza di monitoraggio della autorità sanitarie sulle condizioni di vita delle famiglie presenti negli insediamenti”.

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