Cultura

I racconti di Beppe Costa: il massaggio

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S’era stesa dolcemente sul divano. Forse la schiena dolente e la stanchezza del periodo di chiusura per tanti, ma di duro lavoro per lei, l’aveva resa ancora più fragile. O forse la fiducia nei miei confronti la rendeva sicura e rilassata.

Mi cosparsi le mani di crema adatta, non solo per riscaldarla ma, soprattutto, per rassodare la pelle.

Bianca, distesa, indifesa sollevai pian piano il pigiama fino a intravedere i piccoli seni bianchi pressati sul divano e iniziai con un leggero massaggio. Lei non sapeva o non immaginava neanche i battiti e il tremore che aumentavano nel mio petto. Premevo le mani sempre con maggiore forza sulla schiena. Guardavo e chiudevo gli occhi, ricordando quanto fosse bello il nostro corpo, perfetto. Anche lei -notavo- aveva chiusi gli occhi.

Scesi dolcemente in basso scostandole i pantaloni del pigiama. Si scosse, certa che stessi scoprendo i glutei, bianchi anch’essi, piccoli e tondi. La rassicurai di tenere gli occhi chiusi e quindi di non guardarla, mentendo. Il gioco che avevo intrapreso era dolce e tenero, ma anche intenso: nulla che tendesse a farla inquietare. Sarebbe stata durissima nei suoi rimproveri. Mentre la guardavo un po’ eccitato proseguivo nella menzogna mentre lentamente e furtivamente proseguivo a tirar sempre più giù il suo pesante pigiama.

Vedevo ormai le curve e il centro del desiderio mentre il cuore vibrava sentivo la stanchezza che dalle mani mi prendeva il petto: batteva tutto dentro!

Lei continuava a tenere gli occhi chiusi senza sospettare minimamente la mia eccitazione, preoccupata invece che potessi stancarmi, dato che le mani proseguivano con grande forza nei massaggi spalmando la crema. Non so se fosse bella o attraente ma sapevo che tutto era iniziato dai suoi sguardi intensi, inquietanti o, per me, magari soltanto eccitanti.

C’eravamo abbracciati negli incontri, un paio di volte l’avevo sfiorata nelle zone che vi lascio immaginare, cari lettori, ma s’era rivoltata subito urlando e mettendo in chiaro quanto io fossi vecchio e, quindi, non poteva esservi alcun rapporto fra noi se non di sincera amicizia.

Vecchio! possibile che i vecchi non possano amare quando invece, è certo, hanno maggiore consapevolezza o coscienza di ciò che possa significare amore o, semplicemente, desiderio di provare ancora infinite dolcezze unite a una sensualità più consapevole? Molti anni fa leggevo Kavabata e Tanizaki con storie affascinanti di giovani donne amanti di vecchi, ma, sapevo che oggi, tempi molto più convenzionali e falsi, può scambiarsi l’amore per la giovinezza con la freschezza della carne. Brutta cosa che però accade sovente. Quindi mi sentivo anch’io come venivano descritti i vecchi maiali in cerca di carne.

Ma confesso: amavo quella ragazza, non certo adolescente, anche se ne aveva tutte le caratteristiche. La vita che mi raccontava, le lotte, l’impegno, i fallimenti erano passati senza mutare in lei la speranza nel realizzarsi e la resistenza nel proseguire con tutti gli sforzi possibili. Era questo che ammiravo, così come la guardavo muoversi per casa quando veniva a trovarmi, a volte tenendomi le mani che sentiva fredde, altre ridendo come una matta alle mie battute.

Mi aveva avvisato di non innamorarmi di lei sin dal primo incontro. Mi chiamava spesso al telefono rimanendo per ore a raccontarci le storie delle nostre vite, confessando con innocenza che sentiva le mie mani protettive o che si trovava nuda stesa sul letto. Ne ascoltavo i sussulti nella voce tenera, appena sussurrata ma, non appena ero io a cercarla, l’atteggiamento mutava: la mettevo in fuga?

Così pensavo, mentre le mie mani, spesso a pugni chiusi premevano le sue natiche e i miei occhi fissavano la linea che arrivava fin nel mezzo del sogno. Pensavo al film di Almod

ovar, Parla con lei, quando una tragedia di morte diviene vita e amore. Il malvagio diventa salvatore.

Gli incontri cessarono d’improvviso, i suoi impegni del nuovo lavoro intrapreso le impedivano di venire a trovarmi e il virus separava tutto, non solo noi, né congiunti, né amanti.

Così la sogno da quel giorno, quando il cuore stava quasi per scoppiare costringendomi a mollare la presa d’improvviso lasciandola così al suo sonno o ai suoi pensieri.

Non so come sia oggi, è certo che la maggior parte delle mie notti, le trascorro con lei, Marta, sognandola mia e vedendoci ridere felici verso le onde del mare in tempesta come se le carceri fossero di nuovo aperte. Per questo ormai vado presto a letto, cercando di dormire per  incontrarla.

di Beppe Costa

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