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IL MIO NOME È AYRTON E FACCIO IL PILOTA

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Era il Primo Maggio del 1994, quando tutto cambiò nel mondo della Formula 1. Gli amanti di questo sport avranno intuito su cosa si poseranno queste poche righe. Oggi ricade l’anniversario della morte di quello che per sempre sarà ricordato come l’icona della Formula 1, Ayrton Senna da Silva, per tutti Il Campione.

161 GP disputati, 41 GP vinti, 80 podi e 65 Pole Position, numeri che sarebbero certamente cresciuti, se non si fosse spento una domenica di 26 anni fa durante il Gran Premio di Imola. In quel week end di Maggio, forse il più nero che il mondo delle corse ricordi, quando in un breve lasso di tempo la Formula1 fu colpita da numerosi incidenti, anche il giovane austriaco Roland Ratzenberger perse la vita schiantandosi ad oltre 300km/h.

Purtroppo, come sovente la vita ci insegna, non sempre abbiamo il tempo di metabolizzare una disgrazia quando poi, senza colpo ferire, ne arriva un’altra che sancisce un inesorabile ko. In quel week end stregato nessuno di noi, nessun addetto ai lavori o pilota, avrebbe mai immaginato di perdere il pilota che più di tutti aveva incarnato uno sport, un sentimento agonistico, uno stato d’animo sospeso tra cielo e terra. A bordo della monoposto più forte, candidata a trionfare a fine stagione insieme al suo campionissimo e, nonostante i primi due GP si conclusero senza punti, il circuito di Imola doveva diventare, obbligatoriamente, quello del riscatto.

Ma, come sempre accade, questo mistero così insondabile di cui facciamo parte aveva in serbo altro, per l’uomo che trasformò la Formula 1 in umana passione, conducendola verso vette che lo stesso Ayrton accarezzava con il piede sui pedali.

Alle 14:17 di una domenica di Maggio, Senna e la sua Williams FW16 si schiantarono sul muro nella curva del Tamburello del circuito imolese. A causa dello schianto e nonostante i repentini soccorsi, trasportato all’Ospedale Maggiore di Bologna, Ayrton Senna fu dichiarato morto dal medico che lo prese in cura davanti alle telecamere e in mondo visione. Se dovessi definire quel momento penserei solo al silenzio misto incredulità.

Ero incollato alla televisione come tanti appassionati e, nonostante la mia giovane età, percepii subito che il paddock con quella morte aveva perso la sua poesia. Perse il narratore di emozioni, il carattere a volte burbero ma umano perchè vicino alla gente, la sua gente. Chiedete ad un ragazzo degli anni novanta chi fosse Senna e vi risponderà sempre con gli occhi lucidi.

Ayrton Senna non era invincibile, ma aveva compreso che il vincitore desidera la vittoria più del proprio respiro; se tutt’ora persiste nell’immaginario sportivo, non lo deve solo alle sue vittorie, o alle celebri sportellate con il compagno di scuderia Alain Prost, ma al fatto rimase sempre un sognatore che continuava a sognare ad ogni Gran Premio. Perchè il suo lavoro, il suo sport, erano il sogno di una vita e il regalo che la sua tenacia gli aveva permesso di ricevere. E il destino, forse beffardo, lo ha consegnato direttamente all’immortalità per paura che si spegnesse il mito. Magari aveva ragione pure Lucio Dalla, in quella toccante poesia musicata (dal nome Ayrton) che dedicò al pilota: forse un vincitore vale proprio quanto un vinto.

Grazie Ayrton!

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