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In Myanmar l’esercito soffoca nel sangue le proteste. L’appello congiunto dei capi militari di 12 Nazioni

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Sdegno e  condanna per la violenta repressione della giunta militare del Myanmar sui manifestanti – disarmati – in rivolta per il ripristino del governo civile.  L’escalation di violenze e morti, dal 1 febbraio scorso, non conosce più tregua: oltre all’arresto della leader Aung San Suu Kyi e di altri politici, i militari hanno ucciso, ieri, almeno 140 persone tra cui diversi bambini.

Come capi della Difesa, condanniamo l’uso di forza letale contro persone disarmate da parte delle forze armate birmane e dei servizi di sicurezza associati” recita il comunicato congiunto, firmato dai capi di Stato Maggiore di Usa, Canada, Regno Unito, Germania, Italia, Grecia, Danimarca, Paesi Bassi, Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda.  “Un esercito professionale segue le regole di condotta internazionale e la sua responsabilità è proteggere – non colpire – il popolo che serve, esortiamo le forze armate del Myanmar di lavorare per ripristinare il rispetto e la credibilità persa con le loro azioni di fronte al popolo birmano“.

La popolazione è scesa nuovamente in piazza per commemorare le vittime dell’assurda strage. Nuove proteste si registrano a Bago e a Moe Kaung.

Sotto i bombardamenti aerei sarebbero poi caduti 8 appartenenti alla minoranza Karen, nel Nord-Est del paese.

Il mondo è comunque diviso. Nella grande parata di ieri, in Myanmar erano presenti delegazioni di Cina e Russia. Immagini trasmesse dalla televisione mostrano il viceministro della Difesa russo, Alexander Fomin, tra il pubblico della parata, durante la quale il capo della giunta, il generale Min Aung Hlaing ha attaccato i manifestanti, definendoli “terroristi”.

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