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Parlandoci Chiara…mente: The answer is blowing in the wind!

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Il 9 marzo del 1952 a Cagliari, al Teatro Massimo, si riunirono 3 mila donne provenienti da tutta la Sardegna.

La Sardegna del dopoguerra, in condizioni economiche, sociali e infrastrutturali disastrose, dove mancava tutto. Una società arretrata, nella quale era l’uomo che decideva e pianificava anche la vita delle donne. In questo contesto, l’evento appare un vero miracolo!

Nessun mezzo tecnologico per promuoverlo, ma un richiamo silenzioso, che portò lì in massa le donne, nonostante l’ostruzionismo delle famiglie, dei mariti e della chiesa, che le umiliò etichettandole “Allegre comari”.

Eppure, all’assemblea c’erano donne, provenienti da quasi 200 paesi. Donne, delle associazioni e dei movimenti, trasversali alla politica. Donne, di diversa estrazione sociale, cattoliche e laiche, accomunate da un unico obiettivo: denunciare la situazione dell’infanzia, la malnutrizione dei minori e rivendicare diritti, per loro, le loro famiglie e per un’intera Isola.

il 2 giugno 2022, dopo 70 anni, l’Associazione Coordinamento 3, Donne di Sardegna, promuove nello stesso Teatro, il secondo Congresso, in omaggio a Nadia Gallico Spano, una delle 21 donne della Costituente, protagonista e testimone del processo di rifondazione dello Stato e della nascita della Repubblica. Tra le fondatrici del movimento “Unione delle donne sarde” e promotrice del primo congresso.

Pensate, 70 anni dopo! Donne, oggi come allora, tutte uguali, ma tutte diverse, imprenditrici, politiche, rappresentanti delle associazioni, dell’Università. Testimoni e portatrici di esperienze, di competenze e di proposte concrete, pronte a collaborare e a fare rete, per proseguire il percorso verso il superamento delle differenze di genere. Perché, se si consideria, che le donne pur essendo il 51 per cento della popolazione, vengono considerate e rappresentate come minoranza, si può dedurre facilmente, che questo sistema, basato su valori prettamente maschili, e sul monopolio della rappresentanza maschile ai vertici e nelle istituzioni, non funziona, perché non rappresenta la realtà.

Bisogna partire dall’infanzia, mostrando ai bambini e alle bambine il mondo abitato da persone, nella loro diversità, ma anche nella complementarietà dei sessi.

In merito a questo, la dottoressa, Maria del Zompo, membro del Consiglio Superiore di Sanità, ha condiviso i risultati di uno studio nell’ambito della neuroscienza davvero sbalorditivi! Gli scienziati americani, hanno osservato che di fronte ad un problema, le attività cerebrali di un uomo e di una donna, si attivano in parte nelle stesse zone, in parte in zone diverse, ma ciò che stupisce, è che sovrapponendo i dati delle due mappe, si ottiene un cervello completo. O meglio, ciò che dovrebbe fare un cervello per trovare la soluzione!

Le donne, hanno il senso del futuro e della prospettiva e secondo le statistche, primeggiano nelle scuole di ogni ordine e grado, smentendo i pregiudizi sulla presunta superiorità degli uomini, ma partono svantaggiate quando si affacciano al mondo del lavoro, per la mancanza di servizi che le liberino dagli obblighi familiari costringendole a scegliere fra lavoro e famiglia. Ancora oggi, il 51 per cento degli italiani ritiene che la donna, debba occuparsi della famiglia e della casa.

L’angelo del focolare è duro a morire!

Non a caso, all’Astronauta Samantha Cristoforetti, prima di schizzare nello spazio è stato chiesto, chi si sarebbe occupato dei figli in sua assenza.

Bella domanda! Per fortuna si era organizzata!!!

Dal 1° congresso ad oggi, anche nello sport, sono caduti innumerevoli tabù, tanto che non esiste più una sola disciplina che non preveda la partecipazione delle donne, ma anche qui, occupiamo il 76° posto nel mondo, in termini di divario di genere. Purtroppo in pochi casi lo sport è considerato un “lavoro”, degno di retribuzioni milionarie, mentre per la stragrande maggioranza degli atleti, i contratti vengono sostuiiti da scritture private, che spesso, nel caso delle atlete, non prevedono la maternità, vista come un ostacolo alla carriera agonistica. Per cui se succede, si è fuori, senza alcuna tutela!

Nei casi in cui quello sport preveda un contratto, le retribuzioni confermano il divario di genere a parità di prestazioni. L’uomo prende anche 10 volte più della sua omologa! Inoltre, la donna con una rappresentanza irrilevante nelle federazioni e negli organi decisionali, non incide nelle decisioni.

L’impegno congiunto di uomini e donne per la parità, deve spingere verso un cambiamento culturale profondo, sollecitando la promozione di politiche per le donne e la famiglia, anche con strumenti emergenziali, necessari ad accelerare questo processo. Poco possono le quote rosa se gli uomini al potere, nei partiti e nelle istituzioni, non si autoregolamentano per favorire, un’equa rappresentanza femminile.

Anche la salute delle democrazie, si misura attraverso la rappresentanza dei giovani e delle donne negli ambiti decisionali e di potere, e il NOSTRO, non sta molto bene!.

Il cammino delle donne verso l’emancipazione non si è arenata e mai arrestata e la pressione dei movimenti femministi, le norme sul divorzio, sul diritto di famiglia, l’aborto e altro, hanno migliorato lo stato sociale delle persone. Il grado di istruzione, la libera espressione e la circolazione delle idee, permettono inoltre, processi naturali di cambiamento, sociali e culturali. Ma si va oltre, con determinazione, consapevoli che questa realtà è ancora incompleta.

Abbiamo esempi di donne che hanno sfidato i tempi e scritto la storia, che hanno contribuito allo sviluppo scientifico, letterario, tecnologico, in Italia e nel mondo, in tempi in cui la donna era considerata solo una costola di Adamo!

Il pregiudizio e la gogna sono inevitabili per chi si mostra diverso/a. Uomini o donne che siano. Si fatica ad accettare nuovi modelli, non più ancorati a vecchi stereotipi e si liquida ogni cambiamento che turba o disturba, con “Non è normale”.

Ma allora, cosa ci vuole per accettare ciò che prima veniva stigmatizzato?

Penso che la capacità di stare in parità nelle buone relazioni sia un modo per accettare la normalità degli altri, perché là dove non c’è accettazione e confronto civile c’è violenza, che si annida proprio, nell’incapacità di cogliere e riconoscere il cambiamento. Dove la mancanza di tutele lascia spazio alla prevaricazione, e alla violenza, sia verbale che fisica. Violenza che trionfa sui social, che invade i talk show, ma anche la propaganda aggressiva o fintamente pacifista di alcuni esponenti di partito. Nei tribunali, quando è la vittima a subire il processo basato sui pregiudizi, e non l’ imputato.

Ma il mondo cambia, e se 70 anni fa le donne si riunirono per chiedere acqua potabile, istruzione, sanità e lavoro, oggi si uniscono alle altre forme di protesta e di lotta contro la violenza di genere, contro il femminicidio, per la tutela delle famiglie non convenzionali, delle coppie di fatto e dei loro figli. Chiedono norme sul fine vita. Chiedono uno Stato che riconosca e tuteli i cittadini e le loro necessità.

Occhio, che in molti stati, si stanno rimettendo in discussione anche diritti già acquisiti, come la legge sull’aborto. Sempre che con oltre l’80 per cento di medicii obiettori di coscienza si possa praticare.

Per concludere, non posso non parlare del linguaggio di genere, nel pubblico e nel privato, a mio avviso un acceleratore del cambiamento, perchè il linguaggio si evolve e si arricchisce di nuovi termini per definire nuove realtà! Può apparire strano dire avvocata o architetta o anche ingegnera e medica, ma è necessario non solo definire il ruolo, ma anche il genere per superare il sessismo e i vecchi stereotipi, che impediscono il riconoscimento di ruoli e incarichi alle donne, un tempo prerogativa maschile. Dobbiamo imparare a declinare le parole nelle due forme, perchè usare solo il maschile rende le donne invisibili.

Le donne racchiudono l’intero universo e tutte le sue contraddizioni, e perciò, parlare di politica di genere significa parlare di discriminazione, significa parlare di diritto al lavoro, di sfruttamento e di sicurezza, di discriminazione salariale, di emarginazione, di violenza e di abuso. Significa parlare dell’infanzia, degli orfani di femminicidio, di istruzione e di formazione, di salute e di prevenzione.

Quanti anni dovranno ancora passare prima che si possa affermare di aver raggiunto la parità?

di Chiara Bellu

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