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Addio a Michail Gorbačëv, ultimo leader coraggioso di una stagione di riforme mancate

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Michail Sergeevič Gorbačëv, ultimo presidente dell’Urss e segretario generale del PCUS, si è spento la scorsa notte, all’età di 91 anni. La carriera politica di Gorbaciov inizia nel 1970, quando viene nominato primo segretario del partito a Stavropol. Dieci anni dopo torna a Mosca come membro a pieno titolo del Politburo: è il più giovane di tutti. Marx sosteneva  che gli uomini che fanno la storia, generalmente non sanno che storia fanno.

Ed è accaduto questo, forse, per Gorbačëv, colui che per primo aveva scardinato un ordine gerarchico fortemente gerontocratico, fermo, aggrappato con le unghie e con i denti al glorioso passato che, poco a poco si stava sgretolando dietro la cortina di ferro. Ma tutto questo, come da copione sovietico, non doveva e non poteva essere detto. L’11 marzo 1985 divenne segretario generale del Pcus: aveva solo 54 anni, sarà l’anno della svolta per lui e per un paese ormai al collasso.

Per l’occidente, “Gorby”, come amichevolmente verrà soprannominato, divenne l’uomo della svolta, lo statista illuminato; per i suo compagni di partito, invece, era un pericolo per l’unità nazionale, il traditore dei valori sovietici così come li aveva imposti Stalin. Al cambiamento si opponeva l’indebolimento politico dell’uomo.

Arrivato in cima al potere, il  giovane Gorbaciov aveva fatto la sua parte, dimissionando l’eterno Andrey Gromyko, per 28 anni ministro degli Esteri, a favore del riformatore Eduard Shevardnadze. Il suo pensiero politico divenne subito chiaro: per riformare e cambiare l’Urss (già nel 1988 fu promulgata la cosiddetta Legge sulle cooperative che, per la prima volta dalla Nuova Politica Economica di Lenin, ammetteva la proprietà privata nel commercio e nei servizi) bisognava mettere fine alla Guerra Fredda e all’enorme spreco di risorse che essa comportava.

Le Parole d’ordine del grande periodo di riforme furono “perestrojka”, ossia un programma di riforma volto a liberare l’economia all’interno del regime comunista, e “glasnost” apertura di archivi storici, pubblicazione di libri sino ad allora vietati, diminuzione della censura. Ristrutturazione e trasparenza, però, se da un lato rivitalizzarono la superpotenza, visibilmente in declino, dell’allora URSS, dall’altro innescarono una serie di incidenti a catena: l’unità delle 15 Repubbliche sovietiche, lodata dalla propaganda comunista, si stava sciogliendo come neve al sole.

A nulla valse il disgelo con gli avversari di sempre, gli Stati Uniti di Reagan, la stipula del primo trattato denominato “Start 1”, con il successore Bush, nel 1991, che avrebbe portato alla conclusione il lungo processo di limitazione dell’utilizzo degli armamenti nucleari iniziato nel 1972, con il trattato SALT I. Ormai Gorbačëv aveva intrapreso una strada che l’avrebbe portato alla fine del suo mandato; le grandi riforme del paese erano troppo anche per un leader illuminato come lui.

Il 15 marzo del 1990 il Congresso dei rappresentanti del popolo dell’Urss lo elesse alla nuova carica di presidente dell’Unione Sovietica: fu il primo e l’unico perché l’Urss si dissolse di lì a poco.

La mazzata fatale per il Paese fu però il colpo di Stato, datato 19 agosto 1991, allorché il popolo sovietico si svegliò con la tv che trasmetteva ‘Il lago dei cigni’ dal teatro Bolshoi, prologo dell’annuncio solenne al notiziario, in cui si dichiarava che Gorbaciov non era in grado di governare per motivi di salute. Gorbaciov infatti trovò una forte opposizione ad alcune sue riforme economiche e nel dicembre del 1991, quattro mesi dopo un fallito colpo di stato nei suoi confronti, con le immagini di carri armati in tutte le tv del mondo e la Duma sotto attacco, si dimise; il nuovo leader divenne Boris Eltsin, primo presidente democraticamente eletto nell’URSS ma decisivo per la sua caduta e la nascita della Federazione Russa.

Ora sarebbe facile sottolineare le ingenuità (fidarsi dei dirigenti che poi avrebbero tentato il golpe nel 1991), gli errori (le repressioni nei Paesi baltici), gli obiettivi mancati. Sarebbe altrettanto facile ricordare il rapporto con l’amica, moglie e consigliera Raisa Maksimovna Gorbačëva, morta nel 1999; o il suo contributo alla fine della Guerra Fredda, quando nel 1989 fu insignito della Medaglia Otto Hahn per la Pace e nel 1990 del Nobel per la Pace. Nello stesso anno divennero storiche due visite: quella in Cina, riallacciando i rapporti interrotti da trent’anni, e quella del primo Dicembre in Vaticano, da Wojtyla, primo leader sovietico ad incontrare un Papa.

Quel che resta oggi, sono le pagine di storia ormai sbiadite: quelle di un leader che fece la storia, con le sue riforme e le sue storture, dove antichi equilibri dissolti nel nome della pace, oggi, sembrano ritornare come un rigurgito di guerra fredda mai del tutto digerita.

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