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Beppe Costa: Molise, dove la “cultura non c’è”

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Un rapido passaggio in un bar di Venafro per incontrare una splendida persona ma anche un grande musicista Claudio Luongo che ho avuto occasione di incontrare nel 2015 in occasione di una delle notti bianche (e magiche) della poesia della cittadina, organizzata da Francesco Giampietri.

Dopo alcuni caffè, dolci e abbracci, via verso Isernia, stupenda città che non “esiste” di una regione “fantasma” quale sembra essere il Molise.

Dove non c’è cultura? Spesso, ironicamente si autodefinisce chi la abita. Così fra abbracci, sorrisi che rendevano il freddo di questa strana primavera ci inoltriamo a casa di Antonio Vanni, della sua gatta Shyla che, contrariamente a tante femmine del passato, non chiede permesso e si poggia teneramente sulle mie gambe già stese sul comodo divano.

La mia foto sta all’ingresso a mo’ di promemoria o di un ricordo per il futuro (poiché da lì’vi ero passato.)

Antonio ottimo poeta ma anche cuoco straordinario: ha fatto albe per preparare leccornie in abbondanza per un gruppo di camionisti da lungo percorso. Fingiamo di non voler magiare troppo io e Marcello allibiti davanti al pranzo di nozze, compreso di uova di pasqua e no.

Che dire, mentre ne scrivo, vorrei essere ancora lì o, almeno, tornarci prima possibile: unico inconventiente ma che comunque mi consentirà di fare un paio di chilometri con i “miei” piedi per arrivare in uno dei bar del centro storico dove, per una decina di metri, stavano stesi in bella mostra gioielli della pasticceria locale.

Qui ci raggiugono due giovani esuberanti ragazze, una forse chissà fidanzatina del nostro giovane poeta Simone Principe, l’altra forse libera o chissà, con un costante sorriso sulle labbra (temendo forse di essere corteggiata da me?). Incontri deliziosi cui si aggiunge dopo pochi minuti un ragazzo della Costa d’Avorio, calciatore di squadra locale (ma qualche soldo lo fa come muratore) che inizia una intensa e interessante conversazione con Marcello sui problemi del proprio paese.

Osservando la piazza del centro storico mi balza subito l’idea di un incontro di poesia per l’estate: uno scenario incantevole, pulito e restaurato, piuttosto elegante non come spesso accade nei piccoli paesi dove sono abbandonate, finché qualche tedesco o svedese non vi si trasferisca!

Non è il caso di Isernia, né forse del Molise che non ha fabbriche, né industrie bensì prodotti agricoli di grande purezza (già, dovrebbe essere scontato), vivere e avere buon cibo e aria buona.

Il giorno dopo visita al museo appena restaurato e riaperto, ricco di una storia che ci racconta il periodo paleolitico: una ricchezza per la città e, direi per tutto il Molise. Ci fermiamo alcune ore, ascoltando in video le registrazioni dove è spiegata accuratamente ogni cosa.

Uno dei motivi validi per visitare la città.

Nel pomeriggio si presenta il mio nuovo libro di poesie alla libreria Enzo della Corte. dove Enzo non c’è più e la moglie Rita con  grande passione continua a gestire lo spazio anche questo di rara bellezza posto al centro nella parte moderna di Isernia. Antonio e Marilena Ferrante, dopo un breve brano al flauto di una giovanissima eppur splendida flautista parlano di me!

La parte più dolente sentir parlare di me come se il me fosse già andato!

Antonio percorre parte dei miei lavori, della vita leggendo pure alcune poesie. Racconterò anch’io qualcosa sulle sofferenze degli umani, del convivere con la mafia e sul potere spesso iniquo, in special modo verso i più fragili e indifesi ma, come è ormai una mia caratteristica, in maniera piuttosto ironica e divertente, come divertente è stato l’intervento di Giuseppe Napolitano, poeta che vive a Gaeta (amici di due cari grandi scomparsi: Goliarda Sapienza e Elio Filippo Accrocca. Così un po’ di loro abbiamo parlato.)

Lo conoscevo di nome ma, lo scopro ancora di più attravero libri donatemi e attraverso le traduzioni viste già tramite Carlos Vitale alcune, ma anche scoperte adesso più recenti. Ammirevole non solo la sua poesia colta ma intrisa di autoironia, ma il lavoro di diffusione che compie da molti anni. Un incontro davvero notevole e una stretta di mani che spesso possa ripetersi.

Solo per caso non ci siamo incontrati in Macedonia dove per le difficoltà di salute lo scorso anno non sono andato.

Dopo, Antonio più che soddisfatto si rituffa in cucina, nascosto chissà, arriva a braccia tese con altre grandi pietanze: la carne della cui “tenerezza” non credo si responsabile ma della cura di come con farina, vino e chissà cos’altro, l’abbia cucinata certamente sì: che albe sprecate ai fornelli sarebbero mai. Qui davvero meriterebbe un premio da poeta del gusto! o che se lo inventi qualcuno e lo tolga dal mestiere triste, che pure adora, e gli si affidi un ristorante di gran qualità.

Ma forse tutto questo c’entra con la gioia, quella stessa che in quei pochi giorni mi ha stretto, sentendomi a casa con un generoso fratello a curare ogni piccolo particolare.

Marcello continuava a dire, grazie io non pranzo, io non ceno che sono pieno! Falso!

Poi l’intimità della casa disseminata di oggetti della madre, così non mancava né la classica macchina da cucire, né un’ottima tastiera per la musica, di quelle a tasti pesanti ma senza casse ancora forse per non disturbare i condomini, facendo così musica solo per le proprie orecchie. Questa la differenza fra me e Antonio, io sono esibizionista e, quindi suonare per me solo non basta!

Ma Antonio è poeta, anche se cucina, lavora in ospedale, suona. Resta poeta soprattuttto e, quindi, ogni movimento, mossa,  azione parola ha dentro e attorno la poesia. Non posso quindi dimenticare proprio l’ultimo suo libro di versi, Dimenticato appunto, edito da Macabor e, quindi questi versi sublimi:

La luce riflessa della luna / si fermò vicinissima al Mondo / balbettando qualcosa di fresco
alle cime innevate da poco tempo / cieche all’aurora com’Eracle lance.
Cadeva dalle altissime sfere dell’universo / un ragazzo di nome Dimenticato / oh pace del vuoto leggiadro.
Lo spazio che attraversava velocemente / come l’uscio di casa che grida soffre e tace,
riuscì ad ancorarne le profumate caviglie di tulipano e gelsi. / Oh sospeso aquilone
dalle piccole fortunate ossessioni.

Rapito, il bellissimo tramonto / resta prigioniero tra gli alberi. / Sopra le foglie cucite pupille nidificano l’artico, / agevoli frecce di tepore rendono visibili i naufragi / della prima parte delle solitudini.
Corpo, completamente corpo, nel geloso breve periodo / d’eclissi e rami

Ed è questo il pensiero, il racconto del Poeta, che resta fisso dopo molti anni nella memoria e nelle azioni.

Con rammarico, come non volessi andare via, mi guardo attorno fermando lo sguardo a ogni oggetto, come a volerlo fotografare e portare con me. Ogni seppur piccola cosa dov’era sembrava avesse un senso raccontasse una storia: dalla coperta sul divano alla credenza vicina e, malgrado ci fosse il grande schermo televisivo, quasi non si notava. Forse perché era sempre spento e quindi poteva non essere che uno spazio nero per arredo.

Tornando, una breve sosta a Venafro, presso la famiglia di Francesco Giampietri. avevo pensato a cosa dire, ma l’emozione era così forte che i messaggi furono fra mani,  abbracci  stretti con loro e l’amica Federica Passarelli. Tutto quello che avrei voluto dir loro e ad Antonio lo dissi durante le due ore di viaggio, non so se con gioia o dolori di Marcello, costretto ad ascoltare.

Per certo l’argomento principale è stato decidere quando tornare, domanda che ogni giorno mi frulla, come se quella casa fosse quella dove volevo rimanere o, meglio ancora la grande metropoli più nota al mondo è talmente grande ma a me sta proprio troppo stretta, in una parola: solitudini .

di Beppe Costa

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