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IL CORONAVIRUS HA SCHIANTATO LA MODA

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Il mondo della moda é stato letteralmente messo in ginocchio dall’emergenza sanitaria legata al coronavirus. Un mercato che vale globalmente 2.300 miliardi di euro con perdite preoccupanti: il settore rischia di uscire dalla crisi non solo molto danneggiato ma radicalmente cambiato. L’intero sistema produttivo è saltato, spazzando in un solo colpo milioni di persone in decine di paesi diversi: dall’operaio della fabbrica tessile in Bangladesh al commesso di Milano, da giornalisti e fotografi delle riviste di settore fino a stilisti, modelli e influencer mondiali.

l’intero comparto verte su un lavoro globale talmente concatenato che faticherà a riprendersi anche per via dei diversi stadi temporali di sviluppo del contagio: un paese costretto all’isolamento trascina con sé tutti gli altri, ed una volta tornato alla normalità deve fare i conti con le restrizioni approvate dalle altre nazioni.

La maggior parte delle aziende di lusso e delle catene commissionano i propri capi dove il costo del lavoro è più basso, come Bangladesh, Vietnam e Cina; la produzione altamente specializzata, come l’artigianato di qualità e la pelletteria, è invece commissionato in Italia. I capi vengono confezionati con mesi di anticipo rispetto a quando li vedremo nei negozi, e successivamente trovano spazio nei magazzini dei committenti.

Oltre al lavoro di vendita e produzione, nel settore ruotano svariate figure: giornalisti di moda, fotografi, videomaker, modelle, stylist, truccatori, spedizionieri, magazzinieri, gli affittuari di grandi e piccoli negozi. La pandemia ha fermato il meccanismo. In primis, con la chiusura delle fabbriche in Cina e con le aziende occidentali che hanno stoppato gli ordini e trasferito gli stessi in altri paesi. Poi, anche in Italia si è interrotta quasi tutta la produzione, facendo saltare la programmazione. Contemporaneamente molti compratori stranieri hanno cancellato gli ordini di tessuti e di abiti confezionati in Italia.

Carlo Capasa, presidente della Camera della moda italiana, ha scritto una lettera aperta rivolta al governo che è stata pubblicata su Repubblica l’11 aprile. Il timore è che se la chiusura delle fabbriche dovrà continuare oltre il 20 aprile, la moda italiana rischia di perdere la sua preminenza europea. Capasa ricorda che “siamo il primo Paese in Europa per la produzione del tessile, abbigliamento e accessori, staccando di 30 punti la Germania e di 43 la Francia. Il 41 per cento della produzione europea è quindi fatto in Italia. La moda è un’industria stagionale, riparte ogni sei mesi con nuove collezioni che vanno presentate e vendute e consegnate. I tempi di preparazione delle collezioni e di produzione delle stagioni sono lunghi e purtroppo non tanto comprimibili. Se non riapriremo le nostre aziende entro il 20 di aprile non avremo i tempi tecnici per consegnare le produzioni autunno/inverno che vanno inviate entro luglio in tutto il mondo. Non potremo produrre le collezioni primavera/estate 2021 per la vendita di giugno che dovrà essere fatta anche a distanza agli addetti ai lavori». Capasa ha chiesto al governo di riaprire tutte le aziende del settore, garantendo il rispetto delle norme di sicurezza.

Al blocco della produzione va aggiunta la chiusura dei punti vendita sparsi nel globo.     È possibile acquistare online sui siti di molti negozi e rivenditori, ma le vendite online non compensano quelle dei punti vendita. Nel settore del lusso coprono solo il 10 per cento. Oltretutto, le persone hanno poca voglia di comprare vestiti: incertezza del futuro, difficoltà economiche e l’obbligo di restare a casa non giocano certo a favore del comparto.

In tanti si ritrovano allora con un’enorme quantità di merce invenduta della collezione primavera/estate 2020. I grandi magazzini stanno offrendo online degli speciali sconti sulle collezioni primaverili, con un anticipo di almeno due mesi. Alcuni rivenditori hanno aumentato a 90 o 120 giorni il tempo per restituire la merce e chiedere i rimborsi, ritardando l’arrivo dei ricavi per produttori e stilisti in un momento in cui ne hanno fortemente bisogno. Vari negozi hanno peró già cancellato gli ordini delle collezioni pre-autunno, alcuni anche quelli delle collezioni autunno/inverno: ci si aspetta quindi un calo delle vendite per tutto settembre ed ottobre.  Di conseguenza più di un milione di impiegati nel settore dell’abbigliamento sono già stati licenziati o si trovano comunque a casa, molti senza ricevere lo stipendio.

I grandi gruppi sono costretti a cancellare gli ordini a causa di magazzini strapieni dove non c’è più spazio per sistemare i nuovi arrivi. H&M e Inditex, il gruppo spagnolo che possiede Zara, si sono impegnati a pagare tutti gli ordini fatti ed a ricevere quelli in consegna; Primark, una delle principali catene al mondo, pagherà gli ordini già fatti ma non ne farà altri, dovendosi già occupare di magazzini strapieni. Gap ha messo in pausa la produzione dall’estate in poi, ed accetterà solamente gli ordini pronti destinati alla vendita online, con ripercussioni sulle fabbriche in Bangladesh, Vietnam, Cambogia e Indonesia.

Va ricordato che in Italia il mercato della moda vale ben 97 miliardi di euro. Secondo le stime preliminari di Confindustria Moda, gli impiegati in cassa integrazione sono almeno 550mila su un totale di 580mila; 30mila sono impiegati nelle fabbriche che producono occhiali e tessuto non tessuto (usato per le mascherine), che potrebbero continuare a operare ma non è sicuro che lo stiano facendo. Sicuramente ne esce a pezzi la Regione Toscana, dove dal 25 marzo il settore tessile è stato chiuso al 90%.

Per finire, anche stilisti emergenti ed indipendenti potrebbero non riprendersi più.  In questo periodo devono affrontare le spese delle sfilate che si sono svolte. Nel pieno della Settimana della moda di Milano (18-24 febbraio), le principali aziende italiane hanno presentato le collezioni per l’autunno/inverno 2020-2021. In Cina però il contagio aveva impedito la partecipazione dei buyer (cioè chi decide quali vestiti comprare per grandi magazzini e rivenditori), di clienti e di giornalisti cinesi, per cui ci si era attrezzati con streaming e presentazioni online. L’evento si era chiuso con le sfilate a porte chiuse di Laura Biagiotti ed Armani. Molte collezioni avevano tuttavia un messaggio da fine del mondo, proseguito nelle sfilate di Parigi e culminato in quella di Balenciaga: modelli con visi e corpi deformati che camminavano faticosamente a pelo d’acqua. Quasi tutti gli eventi legati alla moda sono stati cancellati fino a settembre. Tra i più importanti ci sono le sfilate cruise, organizzate in paesi esotici. Alcune sono state cancellate, come quella di Gucci a San Francisco, di Max Mara a San Pietroburgo e la Métiers d’Art di Chanel prima a Pechino e poi Londra; altre ancora sono state rimandate, come Armani a Dubai (da aprile a novembre), Dior in programma a maggio a Lecce, Prada sempre per maggio a Tokyo. Rimandate inoltre le settimane della moda maschile di Londra e di quella di Parigi che avrebbero dovuto presentare a giugno le collezioni per il prossimo autunno/inverno; ed è stata cancellata anche la haute couture a Parigi. La settimana italiana dedicata alla moda maschile, in programma a Milano a giugno, è stata invece rimandata e verrà presentata a settembre insieme a quella femminile. Anche Pitti Uomo, una delle più importanti fiere di abbigliamento maschile che si tiene a Firenze, è stata spostata da giugno al 2-4 settembre. Infine è stato rimandato il Met Gala, il più importante evento di moda al mondo che si tiene sempre il primo lunedì di maggio. Si svolgeranno più avanti e non a giugno anche i CFDA Fashion Awards, i prestigiosi premi della Camera della moda statunitense.

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