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Il monito di tre insegnanti sarde “Non si combatte il covid con l’omertà”

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La paura, la vergogna, la paura di dover comunicare i nomi di chi si è incontrato qualora si risultasse positivi al covid.  Lo descrivono in maniera puntuale Daniela, Giovanna e Lourdes insegnanti della scuola primaria di Borore, Torpè e SiniscolaNon si vede, come un virus; non si sente, come il silenzio di cui è fatta; non è tangibile, come i sentimenti, buoni o cattivi. Eppure le viscere ne percepiscono la tossicità come se si trattasse del peggiore dei cibi avariati.Può insinuarsi nei nostri ragionamenti e farci dubitare della loro validità; avvolgere in una coltre di nebbia la nostra visione dei fatti e persuaderci di essere miopi. Se, invece, si riesce a vedere attraverso la sua nebbia, si sperimenta una dolorosa, lancinante impotenza. È come se ci ritrovassimo affetti da una parestesia facciale che impedisce al fiato di diventare voce. L’omertà non opera solo negli ambienti mafiosi propriamente detti; non intralcia solo la giustizia, lo abbiamo scoperto in quest’ultimo anno: sa far vedere ‘sorci verdi’ anche alla scienza.”

Un sistema di vita deprecabile, trasmesso nel tempo da genitori ai figli e che risulta difficile da sconfiggere, nonostante gli appelli dei vari addetti ai lavori nella scuola e nella sanità “Un preside e due medici che lanciano un appello per ritrovare persone ‘scomparse’; – proseguono le maestre – che si vedono costretti a spiegare a persone adulte, non infanti, la differenza tra fare la spia e contribuire a salvare, chissà, una o più vite. Perché è così difficile dismettere il modus vivendi omertoso, anche se la posta in gioco è la mia, la tua. La NOSTRA salute, ci chiediamo. Una risposta può essere: perché ciò comporta l’assunzione di responsabilità in un’ottica di solidarietà estesa che afferri l’importanza del bene comune. Significa maturare un atteggiamento prosociale.

Prosociale è quel genere di comportamento “diretto ad aiutare o beneficiare un’altra persona o un gruppo di persone, senza aspettarsi ricompense esterne” (Mussen & Eisenberg, 1985). Anche il significato di omertà, beninteso, rimanda al concetto di solidarietà, infatti, la sua definizione nel   dizionario Treccani recita: “Solidarietà diretta a celare l’identità dell’autore di un reato. Quella solidarietà che […] consiste nell’astenersi volutamente da accuse, denunce, testimonianze, o anche da qualsiasi giudizio nei confronti di una determinata persona o situazione”.

Peccato che la SOLIDARIETÀ di tipo prosociale vada a beneficio del prossimo, quella del silenzio no. Dovremmo tutti aver ben chiara questa linea di demarcazione. Invece, purtroppo, ci adeguiamo consapevolmente (anche se, interiormente, lacerati) ad una condotta pseudo-mafiosa, – concludono le insegnanti – temendo chissà quali ritorsioni, nemmeno fossimo stati testimoni di un omicidio: “Non so, non ho visto, se c’ero dormivo” riecheggia nell’aria.

Fortunatamente, anche per i dormienti, c’è sempre qualcuno che lotta e che sta sveglio.

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