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Uno sguardo sul futuro: intervista all’artista Antonio La Rosa

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Il 2024 è appena iniziato, il futuro che ci attende è incerto ma, si sa, ogni epoca possiede in se più incertezze che rassicurazioni: quelle le dobbiamo trovare noi, nel nostro vissuto quotidiano, nell’incedere in mezzo a questa società sempre in continuo divenire. Ognuno di noi si appiglia al suo salvagente, quando la tempesta sembra spazzare via il proprio io e, in quel momento, l’arte diventa quel frammento di esistenza in grado di raccontare, capire e indicare una strada che noi stessi sentiremo consona al momento che stiamo vivendo.

Ci sono, per questo, artisti, che prima ancora di raccontare e far scaturire la loro scintilla artistica diventano filtri, tra questo mondo d’incertezza e quel mistero chiamato vita. L’idea, vero e proprio gesto artistico, si materializza attraverso un libro, una scultura, una tela dipinta e poi stracciata i mille pezzi; oppure nella voce roca per l’affanno di chi sale sul palco di un teatro, legandosi al pubblico mettendo in scena tutte le arti in un solo gesto, evocando in un soffio d’aria un certo Richard Wagner. Gesamtkunstwerk, “arte totale”, era il termine per definire “l’indefinibile”, quel contenitore che noi italiani chiameremo “Opera”, neutro plurale del nome latino opus, proprio per indicare “più attività” nello stesso tempo. Questa è l’essenza artistica di Antonio La Rosa

Nei miei lunghi scambi di opinioni, chiacchiere d’arte e condivisione con l’artista Antonio La Rosa, ho percepito un moto perpetuo, un modo di vedere il futuro mediato da più linguaggi artistici, espressione dell’anima e dell’essere qui e ora. Ci siamo confrontati e confortati con il suo ultimo libro, Vivo Dove Sto, titolo che si manifesta come una trasposizione moderna del vecchio motto latino hic et nunc, diretti verso un percorso in grado di sondare meglio la sua arte con quello che mi è più congeniale: un’intervista dritta al cuore, scavando e mettendo in risalto ciò che le sue opere trasmettono, senza escludere gli angoli bui dell’inconscio. Da Calasaetta al mondo, Antonio La Rosa ci accompagna per mano nella sua espressione artistica fatta di viaggi, sculture, parole che – sono luoghi ancor più dei luoghi stessi-, voce e riflessioni sulla contemporaneità.

Buona lettura.

Iniziamo a scavare nella tua memoria: Quando hai capito che l’arte era diventato il tuo modo di esprimerti e di vivere?

Ci sono stati vari momenti. Il primo, forse quello più importante arrivò durante un grande momento di frustrazione in cui comprendevo di non volere la vita che stavo conducendo, poiché avvertivo una mancanza sebbene ancora non capissi di cosa si trattasse. Fino a quando, unendo alcuni punti del puzzle e dopo una breve esperienza nell’ambito della moda a Milano, compresi che lo spettacolo mi interessava, ma non per sfilare quanto invece per poter avere uno scambio diretto con il pubblico, di emozioni forti, con la speranza, che si faceva convinzione, perdonerai questa apparente presunzione,  di poter cambiare il mondo circostante, fosse anche solo per un istante. Del resto se gli istanti si sommassero potrebbero divenire una vita intera! Così memore delle esperienze davvero illuminanti e molto impattanti avute nell’ambito della recitazione iniziate alle scuole medie e proseguite in compagnie di teatro amatoriale, grazie a un mio professore, Dario Siddi, divenuto anche mio regista e di cui già abbiamo parlato in alte circostanze, compresi che quella sarebbe stata la mia vita. In quel periodo lavoravo con mio padre che aveva una azienda di lavorazione del ferro. Ci misi un anno ad avere il coraggio di concretizzare ciò che avevo capito. Mi trasferii a Roma per studiare recitazione e da quel momento in poi giocai il tutto per tutto,  prendendo tante porte in faccia, fino ad assaporare, finalmente, il mestiere dell’attore come professionista. Strada facendo, dovendo fare svariati mestieri per mantenermi, in modo del tutto casuale scoprii la bellezza della pittura e della scultura, cose a cui non avevo mai pensato. Nonostante avessi sempre disegnato e scarabocchiato ogni foglietto e superficie a mia disposizione, lo testimoniano i copioni teatrali in cui studiavo, che alla fine dell’allestimento di ogni spettacolo erano pieni di bozzetti, ebbene non avevo idea che fosse il preludio di altro! E così, per tornare ai vari momenti di cui parlavo all’inizio, ce ne fu un secondo in cui scoperta la pittura me ne innamorai e iniziai a praticarla, ad uso personale per così dire, quasi terapeutico, fino a quando una persona volle comprare un mio quadro. Quello fu un punto cardine, poiché iniziai a pensare che forse tutto ciò sarebbe potuto essere d’aiuto a qualcun altro oltre che a me. Poco dopo la stessa cosa accadde per la scultura, così da trasformare una giornata di lavoro qualunque in un momento in cui mi diedi il permesso di esternare delle intuizioni e gli scarti di lavorazione del ferro trovati a terra sparsi per l’officina, divennero un corpo solo, una geometria in equilibrio instabile, un po’ come sentivo instabile il mio equilibrio personale, che poi altro non era che l’esigenza impellente di andare oltre lo strato superficiale per inoltrarmi in quel mondo sottile della materia altra. Circa la scrittura, ne parlo per ultima eppure mentre ti rispondo mi rendo conto che forse è nata per prima! Arrivò in una circostanza per me estremamente dolorosa, in occasione della perdita del mio nonno paterno. Fu il primo lutto così vicino a me e questo mi portò a sentirmi esplodere e implodere contemporaneamente. Ricordo che in quel periodo mi rifugiavo nella mansarda di casa, stracolma di oggetti, valigie, libri e tanto altro, per rovistare alla ricerca di storie e viaggi mentali. Avevo anche una splendida chitarra a dodici corde, era di mia sorella, ma la suonavo prevalentemente io. Così nei giorni seguenti il funerale, senza sapere cosa stessi facendo, iniziai a scrivere di getto una serie di parole quasi a sputare fuori quel dolore che mi attanagliava, per esorcizzare i demoni che in quel momento di oscurità aleggiavano nelle mia mente. Ci misi sopra degli accordi e diventò una specie di canzone che suonai solo a me stesso! A seguire continuai questo esperimento che mi dava una certa sensazione di libertà, godimento, gioia, estasi. Da allora sono passati più di 25 anni, un lungo periodo in cui senza rendermene conto ho scritto oltre un migliaio di pensieri più o meno poetici, da cui sono nati due libri: Pensieri Sparsi fra Equilibri Instabili e Vivo dove sto.

Teatro, scultura, pittura e scrittura: quali di queste ti appartiene di più e quale, invece, pensi arrivi di più alle persone?

È una bella domanda! Tutte inevitabilmente mi appartengono o forse io appartengo loro, di certo so che fanno parte integrante del mio vivere e raccontare. Ci sono momenti in cui mi ritrovo più facilmente ad esprimere una emozione con un quadro o con una scultura, altre invece diventa inevitabile disegnarla con le parole, sia scrivendole che interpretandole come attore. Ecco credo che la materia trattata sia una, usando svariati metodi e materiali, tutti volti a raccontare, in un filo conduttore, la mia ricerca artistica. Per ritornare alla seconda parte della domanda direi che molto dipende dal pubblico. Ci sono persone che vengono attratte da una forma espressiva piuttosto che da un’altra. Sebbene, mi rendo conto che nel recitare si crea con il pubblico un momento di sospensione e di magia tale da renderlo speciale fino a restituire ogni volta una emozione nuova e intensa, forse perché oltre allo spettatore c’è l’attore in carne e ossa con le sue fragilità con la verità messa a disposizione di tutti. Ma qui si parla dell’effetto immediato, mentre in senso generale credo che l’arte arrivi sempre a chi è pronto a coglierla. Permettimi una breve divagazione: credo fortemente che l’arte, di qualsivoglia forma, si compia davvero fino in fondo nel momento in cui trova un suo pubblico. Un opera  che rimane nascosta vive solo a metà. E l’altra metà del suo vivere avviene nel momento in cui ogni spettatore la fa propria secondo il suo vissuto, in base allo stato d’animo del momento o a quel che crede della propria vita. Insomma la stessa opera può avere svariati significati che spesso esulano da quello iniziale dell’artista che gli ha dato i natali e questa è la vera forza dirompente e impattante dell’arte.

Ci sono, nel mondo dell’arte, artisti che hanno influenzato in maniera preponderante il tuo modo di fare arte? Se si, quali?

Ci sono senza dubbio svariati artisti che hanno in qualche modo contribuito alla mia evoluzione artistica, sia da un punto di vista tecnico che stilistico. Anche se non ne saprei riconoscere i nomi nello specifico. Dal momento in cui ho cominciato questo percorso, ho sempre avuto una grande fame di scoprire cose nuove. Durante gli studi di recitazione a Roma e a Los Angeles ho di certo attinto ai grandi maestri e attori che per me hanno segnato un solco indelebile nella storia. Chaplin, Gassman, Hopkins, la Street, la Toccafondi, sono alcuni nomi ma l’elenco credimi sarebbe molto più lungo, anche perché ho imparato tanto anche da personaggi meno noti al grande pubblico. Andando avanti nelle arti figurative se proprio volessimo fare dei nomi di certo mi sento di citare Brancusi, Giacometti, De Chirico, Munch, Kandinsky, Maria Lai, Sciola. Pure qui la lista sarebbe molto più vasta, ecco credo di essermi ispirato a loro nel modo di affrontare l’arte e la vita. Idem per la scrittura, ci sono un sacco di autori sia teatrali che di prosa e poesia che mi hanno dato un grande slancio verso la scoperta del gioco della parola sebbene non posso dire di essermi ispirato a qualcuno in particolare. Voglio però dirti che il primo libro di poesie che ho letto in giovane età è stato Poesie d’Amore di J. Prevert, regalatomi da mia sorella. Questa prima lettura, al di fuori di tutti i testi scolastici, ovviamente, e di tutte le poesie che imparai ad amare ai tempi delle medie, mi diede un gran pensare e forti battiti nel vedere quelle parole impetuose che si stagliavano nel cielo del mio mondo emotivo. Sostengo fortemente che ognuno debba conoscere vari metodi, stili e tecniche per poi trovare la sintesi adatta a sé. Non credo nel fatto di esprimersi per forza seguendo solo questo o quel metodo, poiché siamo tutti esseri unici e così occorre che ognuno trovi le sfumature più adatte al proprio essere, in ogni forma artistica dove talento, intuizione, tecnica e allenamento diventano ingredienti indispensabili per aprirsi al flusso della verità.

Come definiresti la tua arte in poche parole?

Potrei definirla un’arte emotiva. Che si dedica alla forma per raccontare la sostanza. Che usa l’estetica per narrare un pensiero. Un modo per porre e proporre riflessioni, di certo per insinuare dubbi e raramente per dare risposte, forse mai. Mi piace pensare che attraverso l’arte io possa portare amore, gioia e consapevolezza per espandere i propri confini interiori.

Il mondo dell’arte, in questo momento, vive le incertezze che rispecchiano la nostra contemporaneità: come vedi il futuro dell’arte nei prossimi anni?

A mio avviso l’arte ha sempre vissuto l’incertezza del tempo in cui abita e questa condizione ne ha determinato la produzione in termini di stile e viceversa. Mi piace pensare che arte e vita siano l’una specchio dell’altra. Se è vero che l’arte debba essere sovversiva così quanto debba aprire le coscienze e i cuori, allora credo che molto di quel che oggi nasce negli studi degli artisti lo si possa un giorno trasformare in un racconto per immagini, forme e intuizioni del presente che a tratti raccontano l’esatto andamento e per altri versi l’opposto, in viaggi di fantasia e ipotesi di vite che non si arrendono alla realtà comune ma che ne vogliono creare di nuove. Spesso l’incertezza dell’economia, così come la viviamo pure oggi, porta il mercato dell’arte a muoversi più sulla sicurezza di nomi storicizzati ad uso di investimento, avendo un po’ di diffidenza verso il contemporaneo, ma non deve spaventare, ricordiamoci che ogni artista anche di grande fama ha iniziato essendo un contemporaneo della propria epoca. Forse questa incertezza nell’arte continuerà a esserci sebbene i numeri parlino di incrementi continui nelle transazioni di opere. Sono certo che ci sia per tutti una terra di nessuno e di contro ci siano tante persone che hanno bisogno di arte. A dire il vero, credo che l’intera umanità ne abbia bisogno! Lo è sempre stato e continuerà ad esserlo.

Quale consiglio daresti a un giovane che vuole intraprendere la tua strada?

Direi di studiare e di sperimentare, senza paura di avere paura. Per ogni artista il compito è quello di produrre, non per moda ma per ispirazione e seria ricerca. Occorre avere fiducia nel proprio lavoro, essere aperti al cambiamento, sapendo distinguere una critica costruttiva da una distruttiva, aprendosi alla scoperta del nuovo e sapendo preservare la tradizione nell’atto creativo sebbene immersi nell’innovazione. Direi di avere l’umiltà di rendersi conto di quanto ogni giorno si possa imparare qualcosa di nuovo, di non sentirsi mai “arrivati” e di celebrare i propri successi grandi o piccoli che siano, le proprie capacità, difendendo idee e intuizioni. Occorre sapersi mettere a nudo. E ultimo ma non per importanza: è molto utile il vedersi come un imprenditore, ogni artista lo è.

C’è un lavoro, tra quelli che hai fatto, che più ti rappresenta?

Senza dubbio! Il fatto è che cambia di continuo! Oggi potrebbe essere proprio l’opera che ho realizzato e poi tagliato in millesimi! Quella contenuta all’interno del libro Vivo dove sto, forse perché ne traggo conforto in questo momento in cui i popoli, così vicino a noi sembrano disgregarsi creando un clima di sfiducia verso gli estranei senza rendersi conto che ognuno di noi lo è per chi non ci conosce. E questo perché la tela realizzata e poi tagliata è simbolo di divisione, eppure anche di unione proprio perché mille pezzi della stessa finiranno nelle mani di mille estranei che in qualche modo saranno uniti da un filo sottile così come nella vita reale, poiché quegli spazi di materia che chiamiamo vuoto in realtà sono molecole del cosmo che uniscono ogni cosa e ogni persona in ogni luogo. Inoltre mi rappresenta anche il ciclo di opere raffiguranti l’abbraccio delle torri, fra cui Genius e TwinTowers Embrace,simboli di unione, di amore e volontà di elevare lo spirito ad una visione della vita più ampia del semplice respirare.

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